La responsabilità sociale delle imprese e la libertà religiosa

Questo articolo prende spunto dai maggiori studi sulla Responsabilità Sociale delle Imprese (rsi) per affermare una tendenza attuale sostenuta dalla Business and Religious Freedom Foundation (rfbf), dal Patto Mondiale delle Nazioni Unite (2014) e da autori come Clark & Snyder (2014) secondo la quale le imprese dovrebbero esprimere la loro rsi (1) attraverso la difesa e la promozione della libertà di religione e di credo, come elemento aggiuntivo ai settori abituali delle loro attività. Mentre numerosi attori hanno incoraggiato le multinazionali a porre l’attenzione sull’impatto della loro attività sui diritti umani ed a promuovere i diritti umani nella loro rsi, hanno per contro solo minimamente considerato la rsi legata in modo specifico alla libertà di religione o di convinzione.

Le imprese applicano con crescente frequenza la «diligenza ragionevole» per ciò che concerne le pratiche legate ai diritti umani nell’applicazione delle norme internazionali sulla rsi (2). A mio avviso è di conseguenza essenziale che le imprese tengano conto del grado di libertà di religione o di convinzione delle minoranze in una regione nel momento in cui avviano dei programmi di rsi con le comunità locali, e che sostengano dei progetti che favoriscano questa libertà. Quando le imprese lavorano in zone dove le tensioni religiose sono inasprite, la loro attività può inconsapevolmente contribuire a perpetuare o favorire dei comportamenti sociali che escludono o discriminano le minoranze religiose, mentre invece potrebbero avere un impatto positivo. Di fatto, le imprese che esercitano la rsi hanno allo stesso tempo alleviato e inasprito i problemi del mondo in via di sviluppo poiché alcune offrono dei programmi di rsi che mirano all’emancipazione, ostacolando tuttavia (in)direttamente lo sviluppo sostenibile o i diritti umani (Rasche, 2009: 194; Goulbourne, 2003; International Alert, 2005; Cannon, 1994: 42; Banerjee, 2007: 145). È importante dunque che esse possano identificare le strutture e i comportamenti che sono fattori di evoluzione ed emancipazione.

Considerata la recente attenzione posta sulle iniziative e sugli studi che trattano di libertà religiosa o di credo e rsi, un’analisi esaustiva delle loro interazioni sarebbe prematura, resta ancora da fare un grande lavoro di fondo (3). Pertanto, questo articolo riassume le sfide che la rsi e le minoranze religiose devono affrontare al fine di individuare dei punti che le imprese potrebbero prendere in considerazione per la progettazione e la realizzazione di programmi di rsi legati alla libertà di religione o di credo. Questo elenco non è certamente esaustivo, posto il fatto che solo la pratica determinerà quali fattori sono o diventeranno importanti a seconda dei differenti contesti.

Cos’è la Rsi?

La rsi, in quanto campo di ricerca, manca di un paradigma scientifico di riferimento, nel senso indicato da Thomas Kuhn, con una descrizione dominante che riconcilia le tensioni concettuali tra le descrizioni normative delle responsabilità societarie delle imprese, il campo d’azione della rsi e il funzionamento degli affari (Lockett et al., 2006: 133; Crane et al., 2008: 4-7; Melé, 2008). Altri concetti connessi e simili alla rsi possono essere utilizzati in modo intercambiabile per descrivere le sue diverse sfaccettature (4). Così le imprese dispongono di una certa flessibilità nel concepire una rsi conforme ai propri interessi, anche se la rsi è in costante (ri)definizione in funzione dei loro rapporti dialettici con le parti interessate. Difatti, le pratiche delle multinazionali negano, riproducono e trasformano lo status quo (Kerr, 2013). In conclusione, se il mondo degli affari porta la rsi nei nuovi settori di attività, la natura stessa e le norme che caratterizzano questo fenomeno cambiano. Il fatto che il Global Compact delle Nazioni Unite (Patto Mondiale) (2014) abbia recentemente pubblicato un rapporto sulla libertà di religione o di credo mostra che essa diventa a livello internazionale una vera e propria sotto-categoria della rsi legata ai diritti umani.

Perché la Rsi si preoccupa in particolare della libertà di religione o credo?

La libertà di religione o di credo, come diritto sancito dall’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, è apparsa relativamente di recente sulla scena della rsi. La sua comparsa è legata all’emergere di altre tendenze sul piano internazionale. Vado brevemente ad illustrarle poiché esse fanno parte del contesto nel quale è nata questa nuova tipologia di rsi.

In un’ottica generale, sarebbe un errore trascurare l’influenza e le conseguenze della globalizzazione, meccanismo quasi onnipresente, sull’ascesa della rsi (5). La globalizzazione ha avuto delle conseguenze positive sulle imprese, mentre le capacità governative di numerosi paesi in via di sviluppo sono diminuite, ciò ha portato alla recente pubblicazione di testi argomentativi sulla rsi che sostengono che le imprese hanno un ruolo sempre più propenso a mettersi in gioco (Sklair & Miller, 2010: 474). Inoltre, con le nuove guerre di reti interne (6) sullo sfondo, caratterizzate spesso da una violenza etnoculturale che si concentra su dei fattori come l’identità religiosa (Kymlicka, 1996), la globalizzazione è ugualmente legata ad una crescita dei fondamentalismi religiosi. Difatti, i movimenti fondamentalisti tentano di rigettare le molteplici identità proposte dalla globalizzazione, cercando di «imporre le loro identità «costruite» come identità tradizionali o accettabili» (Bengoa, 2000: 12), come i militanti di Daech in Iraq o Boko Haram in Nigeria. Questo fondamentalismo va contro una società pluralista in seno alla quale i credenti di differenti confessioni possono coesistere come cittadini uguali.

Inoltre, poiché alcuni paesi che esercitano una discriminazione attiva verso alcune comunità religiose (per esempio il Myanmar e il Vietnam) si aprono sempre più al commercio (Rogers, 2014; csW, 2014), le multinazionali che decidono di continuare gradualmente a operare e a creare ricchezze in questi paesi che violano i diritti dell’uomo – anche se lo scopo è di portare un cambiamento progressivo – devono applicare l’obbligo di vigilanza per evitare di divenirne complici.

Dove porterà la Rsi relativa alla libertà di religione o di credo?

A mio parere, l’obiettivo principale della rsi in rapporto alle sfide dei diritti dell’uomo è l’emancipazione dell’essere umano. Secondo Bhaskar, emanciparsi può significare sbarazzarsi degli ostacoli che opprimono una comunità allo scopo di permettere la libera realizzazione di ogni suo membro come condizione preliminare alla libera realizzazione di tutti (Bhaskar, 1993). Questa idea di impegno a lungo termine che ha lo scopo di aiutare una comunità a svilupparsi in modo «duraturo», è stata incorporata nei programmi e nei volantini della rsi. Traslando questo concetto nel linguaggio della libertà di religione o di credo, Seiple (2012: 98) afferma che «la libertà religiosa duratura è la possibilità tutelata dalla legge e culturalmente accettata di scegliere, di cambiare, di condividere o di rigettare una credenza di qualsiasi natura essa sia, compresa quella religiosa, e di portare queste credenze nel dibattito pubblico». Si tratta in questo caso di una visione dei diritti civili uguali per tutti, una libertà positiva e non negativa, quella che Fredrik Barth chiama una struttura dell’interazione che permette la persistenza delle differenze culturali. Come lo anticipa Longva (2012), la prova migliore della sua non applicazione è di privare un gruppo dei diritti di cui il resto della società gode. Giungere ad un modello duraturo di libertà di religione o di credo implica lo sganciamento dai modelli attuali di discriminazione e disuguaglianza, e la creazione di nuove strutture.

L’analisi di redditività

Come se eseguissero un «rito di passaggio», i difensori della rsi per la libertà di religione o di credo hanno mostrato che rispettano la necessità delle imprese di aumentare i loro benefici, la loro redditività e il miglioramento delle relazioni pubbliche. Hanno fatto ricorso all’analisi di redditività che prova che investire nella libertà di religione o di credo può portare un beneficio sia alle imprese che alla società senza mettere in pericolo la loro attività principale. Questo dato ha avuto un peso notevole nella documentazione relativa alla rsi per la quale le imprese ricorrono a spese straordinarie con il fine di aiutare dei soggetti in difficoltà (Porter & Kramer, 2002: 257; Dunfee, 2008: 346- 347; Martin Curran, 2005; Frynas, 2008: 278; Mazurkiewicz, 2004: 6-7). Le argomentazioni commerciali a favore delle spese di rsi per la libertà di religione o di credo sono convincenti.

Hylton e altri (2008) dimostrano che le leggi che vessano la religione diminuiscono la crescita economica e sono innegabilmente legate alla disuguaglianza. Peraltro, le ricerche empiriche di Grim e altri (2014) mostrano che la libertà di religione o di credo contribuisce a dei migliori risultati economici come suggerito dalla teoria economica delle religioni (Grim & Finke, 2007). Sul piano macroeconomico, essi identificano una relazione positiva tra la competitività economica globale e la libertà di religione o di credo come provato dai paesi dove i governi impongono minori restrizioni religiose e dove è riscontrata una bassa ostilità sociale legata alla religione. Essi notano un’altra correlazione: l’instabilità legata all’aumento delle restrizioni religiose è dannosa per gli affari. Per esempio, l’instabilità può avere un’influenza negativa sulla stabilità dei contratti, sulle attività delle imprese e far abbassare le opportunità in materia di investimenti.

Punti di riflessione per le imprese

Presenterò di seguito cinque punti che le multinazionali dovranno prendere in considerazione qualora decidessero di intraprendere un cammino di rsi con le minoranze religiose presenti nelle comunità locali dove esse operano.

  1. La natura mutevole delle minoranze religiose complica la loro classificazione, e dunque la loro identificazione. Le minoranze religiose possono essere definite come un gruppo nel quale i comportamenti religiosi differiscono da quelli della maggioranza (Bengoa, 2000). Tuttavia, una minoranza può coesistere da molto tempo insieme agli altri, come delle nazioni in seno ad uno Stato, oppure può essere arrivata tramite l’immigrazione. Essa può avere o meno un paese d’origine (7). Inoltre, l’esistenza di una minoranza non è statica ma si evolve nel tempo. In passato può essere stata una maggioranza (o può diventarla nel futuro) oppure rappresentare una maggioranza altrove. La sua origine storica e il suo interagire con una società plasmano le sue istituzioni collettive, le sue identità e aspirazioni (Kymlicka, 1996), quindi due gruppi non potranno mai essere esattamente identici. La relazione della minoranza con la società evolve in una relazione dialettica con gli altri gruppi sociali. Nel significato buberiano dei termini «Io e Tu», lo sguardo dell’altro definisce l’identità di una minoranza che dovrebbe evolversi senza per questo essere assimilata. Difatti, le minoranze possono condividere numerosi valori e pratiche culturali con le maggioranze. Mentre la religione può essere un chiaro indicatore di classificazione sociale di una minoranza, ciò non è semplice perché le identità sono dinamiche, mutevoli, si sovrappongono e sono in un certo senso porose, alcuni individui possono appartenere contemporaneamente ad altri gruppi nella società. I fattori religiosi non devono essere considerati in modo isolato: la classe sociale, il potere economico, le politiche nazionali e regionali possono ugualmente influenzare il capitale sociale e la posizione sociale di una minoranza (Longva, 2012).
  2. Riconoscere o favorire delle minoranze può essere politicamente imbarazzante e pregiudizievole; per questo motivo un unico approccio della RSI sulla libertà di religione o di credo non sarà sicuramente una scelta vincente. La rsi comporta un aspetto politico là dove essa sottolinea delle lacune sociali che i governi, su differenti livelli, non hanno colmato. Con lo stesso spirito, il fatto di ricorrere alla rsi per promuovere le libertà fondamentali delle minorità (emarginate) essendone moralmente responsabili, implica che gli Stati (dominanti) falliscano nel loro ruolo fondamentale di difensori dei diritti umani e dei loro cittadini. Da una parte, i governi possono promuovere attivamente delle politiche di inclusione con più o meno successo e godere del sostegno delle multinazionali. Dall’altra parte, alcuni Stati possono avere le loro proprie ragioni per incoraggiare o facilitare la persecuzione interna delle minoranze religiose. Esse possono sentirsi culturalmente vicine ad un paese ma non politicamente; oppure i loro legami con la diaspora o con i loro correligionari all’estero possono destare sospetti, spingendo i governi nazionali a rimettere in discussione la loro lealtà. Così le reti transnazionali possono determinare le politiche nazionali contro le minoranze (Longva, 2012: 16). Per di più, i governi possono preferire di avere un gruppo omogeneo di cittadini. Di fatti, il riconoscimento de facto o de jure delle minoranze (o la loro assenza) è politicamente strategico (Kymlicka, 1996). Persino là dove la Costituzione impone una religione escludendo le altre, essa può non precisare un’appartenenza confessionale e quindi alcune minoranze intra religiose saranno private dell’esistenza legale (Longva, 2012: 20). Oltre a questa non riconoscenza, una élite politica può per esempio procedere ad una pulizia etnica o genocidio, all’assimilazione coercitiva, alla discriminazione economica, alla segregazione, alla negazione di altri diritti politici, può esercitare la discriminazione attraverso una regolamentazione sociale mirata o soddisfare gli interessi dei gruppi religiosi stabiliti al fine di beneficiare del loro sostegno attraverso sussidi finanziari, garanzie costituzionali o altri privilegi. Le eventuali conseguenze sociali o politiche negative a lungo termine appaiono forse secondarie in rapporto alla loro capacità di conservare il potere nel breve termine. Tuttavia, come evidenziato da Hylton e altri (2008: 7), una volta stabilite relazioni negative tra Chiesa e Stato, i processi governativi sono molto più facil- mente corruttibili e possono portare al favoritismo certi gruppi a discapito di altri nell’attribuzione di incarichi, la distorsione nella promulgazione di leggi e nella loro applicazione. La discriminazione e la marginalizzazione sono strettamente legate alla povertà delle minoranze, in particolare nei paesi in via di sviluppo, ciò può successivamente escluderle dalla società mondiale ed esacerbare le differenze etniche, razziali, religiose e le ostilità sociali (Bengoa, 2000: 7-8). È difficile fermare questo tipo di meccanismo perché le religioni dominanti possono sentirsi minacciate dalle preoccupazioni crescenti a proposito dei diritti delle minoranze e scatenare ripercussioni (Durham, 2011). È importante sottolineare che le minoranze religiose possono allo stesso tempo soffrire e perpetrare violenze strutturali e fisiche. La letteratura, che dipinge le minoranze unicamente come vittime, dà l’errata impressione che esse non facciano parte della società, commettendo l’errore hummiano di attaccarsi ad un aspetto del problema senza vederlo nella sua globalità. Qualunque sia la loro parte di responsabilità nei problemi ai quali le minoranze fanno fronte, esse rispondono spesso imitando la maggioranza e partecipando a rinforzare le frontiere identitarie, (ri)producendo dei comportamenti di esclusione reciproca che possono provocare un conflitto se non li si controlla (Longva, 2012). Ciò complica il compito di coloro che tentano di identificare le cause della violenza; non solamente i meccanismi di causalità che permettono o impediscono la violenza differiscono, ma certe potenze causali possono restare inattive in un contesto, mentre sono proprio quelle che scateneranno delle serie violazioni dei diritti umani in un altro contesto.
  3. Le imprese dovrebbero evitare le relazioni asimmetriche. Le multinazionali dovrebbero tener conto delle aspettative delle comunità per raggiungere gli obiettivi dei programmi di rsi ed evitare l’«assistenzialismo». Queste sfide interessano tutte le attività legate alla rsi e devono essere prese in considerazione al momento delle consultazioni comunitarie preliminari, prima dell’avvio delle attività. Infatti, la rsi non è la panacea di tutti i problemi strutturali che ricorrono nella società. Le multinazionali hanno fatto fatica a condurre in maniera positiva dei progetti di sviluppo duraturo. È dunque poco probabile che esse riescano a mettere in pratica la libertà di religione o di credo da un giorno all’altro. Su questo argomento, qualunque siano le intenzioni di un’impresa, l’atomicità elitaria ed egocentrica (8) e le universalità astratte (9) possono essere predominanti in un paese preso in considerazione. La presenza di multinazionali e la ricchezza che esse generano possono contribuire a far prosperare gli interessi di un’élite locale o impedirne il cambiamento, incoraggiando allora le relazioni asimmetriche di dipendenza. In questo spirito, la libertà religiosa internazionale, come la rsi (cfr. Fleming & Jones, 2013), può essere considerata (giustamente) come facente parte di un progetto imperialista occidentale. Se i governi lasciano agire le multinazionali in loro assenza, le trasformazioni dei settori pubblico/privato che ciò implica, solleveranno delle domande che rimarranno senza risposta relative alle forme emergenti di neo-corporativismo e di spartizione del potere (Holmqvist, 2009; Baneriee, 2007). Mettendo in atto le loro pratiche, le multinazionali non devono aspettarsi di rivoluzionare tutti dall’oggi al domani, esse devono piuttosto impegnarsi con le comunità in un processo progressivo, evitando di imporre delle strutture estranee. La formazione delle società è inevitabilmente influenzata dall’esame cosciente e minuzioso di certe convinzioni e dall’accettazione incosciente di altre; la pratica è quindi determinata da totem e tabu. Se non si riconoscono le norme sociali e culturali accettate, imporre delle soluzioni moderne può erodere e non incrementare il capitale sociale. Quindi, le imprese devono tenere conto di queste norme in modo da rinunciare ai programmi che appaiono onerosi e illegittimi (Cleaver, 2001: 34). Questo perché le multinazionali devono integrare dei gruppi ostruzionistici, ed ottenere il loro soste- gno perché diversamente tenterebbero di mantenere uno status quo aggirando le costrizioni istituzionali (Rajan & Zingales, 2006).
  4. Un approccio positivista è inadatto. È ben inteso che non si può lasciare ai singoli individui le decisioni relative all’interesse pubblico; tuttavia gli industriali non hanno probabilmente le conoscenze, le competenze o le attitudini necessarie per gestire le questioni sociali (Martin Curran, 2005; Frynas, 2009; Lee, 2006). Gli ingegneri solitamente favoriscono i progetti tecnici che portano risultati quantificabili, tralasciando alcuni fattori intangibili. Ciò significa che se alcune consultazioni tra le imprese e le comunità locali sono prima di tutto qualitative, molte altre si risolvono con liste di richieste a livello locale senza approfondire oltre la discussione relativa alle sfide che mirano allo sviluppo. Questo porta a programmi costosi ma inefficaci (Frynas, 2009; 2005).
  5. Trovare i partners locali adeguati per le iniziative della Rsi. Considerando le eventuali suscettibilità delle minoranze religiose e degli altri gruppi, bisogna stare attenti a comprendere e a identificare quegli individui che rappresentano le loro opinioni, e invitarli a prendere parte alle consultazioni affinché nessun gruppo si senta escluso. È ugualmente necessario prendere in considerazione il subappalto di una parte del lavoro a dei partners È vero che alcuni subappaltatori potrebbero commettere attivi eticamente scorretti, ma la comunità locale deve essere in grado di dar loro fiducia (Halme e altri, 2009; Haltsonen e altri, 2007: 48). Alcuni partners preziosi possono essere attinti dalla società civile (per esempio le Ong e le associazioni locali che hanno esperienza sul campo) per definire e realizzare dei programmi di rsi, essi portano: la loro esperienza in gestione del rischio, una legittimazione in seno alla società e la loro buona reputazione (10). Infatti, le multinazionali che chiedono di essere così guidate possono talvolta evitare rappresaglie (Kourula, 2009: 399; Teegan e altri, 2004: 475). Tuttavia le Ong hanno anch’esse i loro personali interessi. Per esempio alcuni gruppi si spacciano per Ong con il solo scopo di raccogliere fondi. Altri difendono i loro interessi a discapito del bene comune (Kerr, 2013).

Concludendo, la libertà di religione o di credo costituisce un nuovo e appassionante settore per la rsi, ciò però comporta anche una notevole quantità di sfide. Le imprese dovrebbero lanciarsi, senza perdere di vista le differenti sensibilità, con dei programmi concepiti su misura nel caso esse desiderino fare la differenza sul lungo periodo.

 

SUSAN KERR – Dottore in Scienze della pace presso l’Università di Bradford, e in Scienze politiche, ha condotto numerosi studi sui fattori che influenzano la rsi delle imprese multinazionali del settore petrolifero in Colombia e Venezuela.

 

Note

1 Nell’ottica del presente articolo, mi riferisco unicamente alla rsi che non è strettamente legata agli affari così come alle azioni delle multinazionali vis-à-vis degli azionari esterni delle comunità locali.

2 Cfr. tAylOr (2012) per uno studio interessante delle norme internazionali.

3 L’obiettivo di questo articolo è di aprire nuove prospettive sul tema che saranno poi studiate dal mondo degli affari, dai politici e dalle Università. Non ho la pretesa di aver trattato esaustivamente ogni sfaccettatura di questo tema complesso. Per chi desiderasse saperne di più, ho compilato una lista delle opere di riferimento che sviluppano le idee presentate in questo articolo.

4 Tra i quali: 1) Corporate Citizenship mette in evidenza l’implicazione delle imprese nella sfera pubblica (Birch, 2001; Matten & Crane, 2005); 2) Sustainable Business secondo cui la prosperità del mondo degli affari, delle persone e dell’ambiente sono legate (Gladwin et al., 199; Ramus & Montiel, 2005); 3) Triple Botton Line presenta il passaggio delle imprese da un obiettivo finanziario unico fino ad includere le prestazioni sociali e ambientali (Gray & Milne, 2002); 4) Corporate Social Responsiveness si concentra sulla maniera in cui le imprese assumono la loro responsabilità con tutte le parti interessate (Vercic & Grunig, 2000); 5) Corporate Philanthropy descrive l’incapacità dei beneficiari a chiedere la rsi (L’Étang, 1994; Porter & Kramer, 2002); 6) Stakeholder Theory parte dal principio che i valori sono parte integrante degli affari (Freeman et. al, 2004; Donaldson & Preston, 1995); 7) Corporate Social Performance sulla correlazione dei principi, politiche, programmi socialmente responsabili, i processi di reattività e i risultati osservabili nelle relazioni sociali delle imprese (Wood, 1991; Sethi, 1975); 8) Corporate Governance quando le imprese oltrepassano i minimi richiesti (Schwab, 2008: 110); 9) Social Entrepreneurship sulla trasformazione delle idee socialmente ed ecologicamente responsabili nei prodotti o servizi (Schwab, 2008: 114).

5 Per globalizzazione si intende da una parte un insieme di teorie che si uniscono sul piano dialettico, e dall’altra delle reali trasformazioni materiali.

6 Queste guerre sono riconoscibili da: l’assenza o la debolezza delle istituzioni dello Stato o la loro natura predatrice; la nascita di nuovi centri di autorità imbricati gli uni negli altri; un aumento della povertà; la lotta per le risorse (si veda: Duffield, 2005: 16; Rubin et al., 2001: 6; Tuemnér & Wallensteen, 2012; Kaldor, 2005).

7 L’espressione popolo indigeno non è ancora mai stata applicata a una minoranza religiosa, ma ciò potrà avvenire se l’autoaffermazione per motivi religiosi sarà riconosciuta (Longva, 2012: 9).

8 Un egocentrismo che non tiene conto della relazione di un essere con il resto dell’umanità.

9 Giustificare un’azione che ha come scopo quello di arrivare ad un obiettivo nascosto.

10 Secondo Kourula (2009; 395) la società civile influenza le politiche delle imprese impegnandosi con queste ultime: 1) in partenariati strategici o accordi di cooperazione; 2) in progetti comuni; 3) in collaborazioni o subappalti nell’ambito della ricerca; 4) nell’abilitazione; 5) proponendo ai propri impiegati delle attività di volontariato; 6) in patrocinii; 7) in sondaggi; 8) in dibattiti; 9) in dialoghi.

 

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