Introduzione

Mentre mi accingo a fare una breve e non esaustiva carrellata delle criticità, vorrei prima abbozzare un’ottica di lettura complessiva delle problematiche attuali relative al pieno godimento in Italia della libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Non c’è dubbio che l’ennesima tragica ferita provocata dal nefasto terrorismo «religiosamente qualificato», quella degli eventi sanguinosi di Parigi e danesi di pochi mesi fa, abbia fatto salire di una tacca la tensione che si percepisce nella società europea, e quindi italiana, rispetto alla presenza stabile nel nostro territorio di una consistente quantità di cittadini non comunitari di religione islamica. Come percepiamo intuitivamente, prima ancora che le analisi sociologiche ce lo dicano, la società tende a ragionare per diadi, in cui i termini sono opposti e contrari: bianco-nero, bello-brutto; giusto-sbagliato; normalmente, uno dei due termini è deteriore rispetto all’altro. Le sfumature di grigio sono lasciate ai libri e ai film che parlano di questi eventi.

Riferendoci alla reazione seguita ai fatti tragici di cui dicevo, emerge il contrasto tra «fondamentalismo» (leggi «terrorismo religiosamente qualificato») versus «religione civile». Questo contrasto era evidente a Parigi quando si sfilava con i cartelli «Je suis Charlie», in nome dei valori supremi, «sacri», che sono una sudata conquista della nostra società, quali democrazia, libertà, in questo caso di espressione, e dignità umana.

Non è difficile però notare come la canalizzazione del giusto sdegno in sostegno ai valori di cui dicevo prima, si possa anche tradurre in una reazione che, proprio perché ragiona per diadi, senza specificazioni, senza alcun tentativo di cogliere la realtà nella sua complessità, rischia di bollare tutte le manifestazioni forti di coerenza alla coscienza, al pensiero e alla religione, come «fondamentalismo» (2); esempio, associando i milioni di musulmani che risiedono in Europa e che vogliono vivere con convinzione, ma pacificamente, la loro religiosità, a frange terroristiche impazzite e caratterizzate paradossalmente dall’analfabetismo religioso. Nei paesi in cui vi è una forte impronta laica, in cui vige «una separazione tra diritto e culture (o religioni e morali) senza il combinato carattere del riconoscimento» (3), questo fenomeno può tradursi in un rafforzamento della tendenza all’espulsione di ogni manifestazione di coerenza coscienziale e religiosa che si affacci nella sfera pubblica.

Nei paesi in cui invece vi è un favor religionis e una consolidata tradizione di vicinanza e cooperazione tra lo Stato e una religione o confessione religiosa maggioritaria, non tutte le manifestazioni forti della coerenza coscienziale o religiosa vengono stigmatizzate, ma solo quelle che non rientrano nell’idea di religione prevalente nella società.

Quindi, qualunque manifestazione di attaccamento alla propria visione del mondo o religione non maggioritaria – che non abbia nulla a che vedere con il codice penale ovviamente -, diventa una manifestazione di «fanatismo», di «fondamentalismo», quindi da combattere.

Per rifarsi a una terminologia di Robert N. Bellah, che una quarantina di anni fa parlò per l’Italia di «basso continuo religioso» (4), vi è una comprensione popolare di cosa è religione che permea la vita sociale, che, per essere chiari, è ben distinta dalla ufficialità della religione di maggioranza e spesso a essa del tutto antitetica. Questo «basso continuo» è in grado di sopraffare il sistema dei valori fondanti del nostro vivere civile – democrazia, libertà, diritti umani – almeno nella vita quotidiana e sociale.

Non è un caso che il Pew Research Center, nel suo ultimo rapporto sullo stato della libertà religiosa nel mondo, segnali per l’Italia «ostilità sociali alte» e in aumento, e «restrizioni governative moderate» (5).

Infatti, queste ostilità sociali alte nei confronti delle manifestazioni di una coerenza coscienziale o di una religiosità minoritaria, tendono a passare dalla società al livello istituzionale, non nel parlamento o nell’attività di governo ma, in una sorta di sussidiarietà perniciosa, nelle istituzioni più vicine ai cittadini, Comuni e Regioni in primis, ma anche scuola e sanità, che con la loro capacità di normare aspetti circoscritti ma significativi del vivere quotidiano, possono dare luogo a discriminazioni anche gravi, dimenticando che anche a loro spetta il dovere di tradurre in pratica la Costituzione repubblicana, i patti e le convenzioni comunitarie e internazionali che il nostro paese ha sottoscritto.

È questo stillicidio diffuso di leggi regionali, ordinanze comunali e circolari scolastiche che contrastano con le norme e i principi costituzionali, così difficili da ostacolare con l’azione amministrativa e giurisdizionale, che rende sempre più necessaria una legge quadro sulla libertà di coscienza, di pensiero e di religione, che «adegui anche sotto questo profilo la sua legislazione alla realtà multiculturale» (6). Veniamo ora a evidenziare alcune criticità.

I luoghi di culto

Quella che a mio avviso è al momento la più «calda» è sicuramente la questione dei luoghi di culto delle minoranze   religiose (7).

La Costituzione italiana non soltanto protegge la libertà religiosa ma, anzi, vi è un vero e proprio favor religionis. L’articolo 19 della Costituzione, che si riferisce specificamente al diritto di libertà religiosa, inizia significativamente con «Tutti», cioè, non fa riferimento al fatto che bisogna essere cittadini italiani per godere di tale diritto (8). Al contrario, è chiaro che il diritto riguarda appunto ogni essere uma- no che si trovi sotto la giurisdizione italiana, sia egli cittadino italiano, dell’Unione europea, immigrato regolare, immigrato clandestino in un centro di accoglienza, ecc.

Tra le modalità con cui si esprime la libertà religiosa, una delle più significative, contemplata nell’articolo 19 della Costituzione, è quella di riunirsi per celebrare il culto. Non è quindi strano che i luoghi di culto siano stati ritenuti dalla Corte costituzionale imprescindibili per esercitare il diritto di libertà religiosa (Sentenza 195 del 1993). Per tale motivo, lo Stato italiano, ovvero uno stato sociale che si fa carico dei bisogni dei cittadini, anche religiosi, e che ha nella sua Costituzione un favor religionis, ritiene che sia anche suo compito agevolare la costruzione e manutenzione di tali edifici, anche fornendo aree specifiche a essi destinate e prevedendo finanziamenti ad hoc. Infatti, lo Stato, nel Testo Unico sull’edilizia, prevede che i luoghi di culto siano considerati come opere di urbanizzazione secondaria. Secondo l’articolo 117 della Costituzione, spetta alle Regioni la competenza in materia urbanistica.

Purtroppo non tutte le Regioni interpretano questa loro competenza urbanistica in materia di luoghi di culto nel senso indicato dalla Costituzione (9). Citiamo, ad esempio la Regione Lombardia.

In passato, infatti, la Legge Regionale lombarda n. 20 del 1992 era stata dichiarata incostituzionale laddove disponeva un regime differenziato tra confessioni con concordato o intese e le altre. Nel 2005 una nuova normativa lombarda in materia, la Legge Regionale n. 12, era stata attenta a non cadere più nell’errore di discriminare le chiese o i gruppi religiosi che non hanno un concordato o una intesa. Questa legge è stata modificata nel gennaio del 2015. Nella nuova versione della legge n. 12 del 2005 vi sono delle importanti modificazioni nella parte dedicata alla pianificazione delle attrezzature per servizi   religiosi.

Secondo la nuova formulazione, la Regione e i Comuni promuovono la realizzazione di strutture destinate ai servizi religiosi della chiesa cattolica, delle chiese con intesa e delle altre chiese. Queste ultime però solo se presentano alcuni requisiti:

  • Presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale e un significativo insediamento nell’ambito del Comune nel quale richiede l’insediamento religioso;
  • I loro statuti esprimono il carattere religioso delle loro finalità istituzionali e il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 195 del 1993, aveva detto che la distribuzione dei fondi e delle aree doveva essere proporzionale alla loro consistenza e incidenza sociale, senza stabilire che vi fossero delle soglie minime. Inoltre, il tessuto urbano lombardo in molte zone, pensiamo all’hinterland milanese, non ha soluzione di continuità. Una zona adatta alla realizzazione di un luogo di culto potrebbe non avere una presenza organizzata nel Comune dove si intende insediare il luogo di culto, ma magari nell’arco di pochi chilometri, nei comuni limitrofi, potrebbe essere presente una popolazione di fedeli numerosa. La legge presenta anche altre criticità, come un’eccessiva burocratizzazione e introduzione di elementi di arbitrio:

  • Gli enti non cattolici, anche quelli con intese, devono stipulare una convenzione a fini urbanistici;
  • Viene creata anche una consulta regionale che dà un parere preventivo e obbligatorio;
  • Prima di dare un parere ci vuole un piano per le attrezzature religiose che tenga conto delle richieste delle confessioni religiose e poi acquisisca i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine, oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura, al fine di valutare possibili profili di sicurezza pubblica, fatta salva l’autonomia degli organi statali. Resta ferma la facoltà per i Comuni di indire referendum nel rispetto delle previsioni statutarie e dell’ordinamento statale.

Il piano deve prevedere:

  • Strade di collegamento adeguate;
  • Altre opere di urbanizzazione primaria, se non ci sono, con oneri a carico dei richiedenti;
  • Distanza tra gli edifici di culto, stabilite dalla Giunta Regionale;
  • Parcheggio non inferiore a 200 per cento della superficie o comunque un numero minimo di parcheggi;
  • La realizzazione di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine;
  • Adeguati servizi igienici, nonché l’accessibilità alle strutture anche da parte di disabili.

In certe zone altamente urbanizzate, sarebbero davvero poche le strutture religiose esistenti che potrebbero salvarsi rispetto a questa normativa.

Un punto è particolarmente curioso: si richiede la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del paesaggio lombardo, così come individuate nel Piano Territoriale Regionale. Resta un interrogativo di non poco conto rispetto a quale sia il paesaggio lombardo da prendere in considerazione: il lago di Como, Piazza Duomo a Milano, Quarto Oggiaro, Cologno Monzese, Lambrate…?

Scuola

Nella scuola ancora non si fa strada la definizione di un «nuovo noi». Siamo sempre al sistema binario: noi–loro. E «loro», è facile capirlo, sono le minoranze etniche, che spesso sono anche minoranze religiose.

Il sistema dell’autonomia scolastica, all’interno di un quadro generale dettato dalla normativa statale, dovrebbe farci dire che la scuola è in primis di chi la frequenta. Quindi anche dei bambini e delle famiglie che sono ormai stabilmente, permanentemente, presenti in Italia, ma che la legge vigente non consente di integrare nella cittadinanza o nei residenti stabili. La scuola, come il paese, è ormai irriducibilmente, definitivamente, multietnica, multiculturale, multireligiosa.

Eppure, spesso le manifestazioni di una diversità di sentire e vedere, rispetto a quel «basso continuo religioso» fortemente identitario, che possono andare dal vestiario al cibo, alla celebrazione delle festività religiose, diventano momento per rivendicare un diritto del «noi» contro di «loro». In una scuola di un paese multietnico, multiculturale e multireligioso, che ha tra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale la laicità, si deve poter discutere serenamente, quando l’argomento viene sollevato, anche se magari senza la «grammatica» istituzionale appropriata, sulla persistenza di elementi della tradizione religiosa maggioritaria, evitando di gridare necessariamente allo scandalo per le «pretese» dei nuovi arrivati, appellandosi a un vago «abbiamo sempre fatto così» (10) o ancorandosi a norme, regolamenti o circolari emanati in un epoca di religione di Stato.

Per quanto riguarda l’insegnamento della religione cattolica, si registra un costante boicottaggio di fatto delle attività alternative. Le difficoltà connesse all’offerta alle famiglie di un’informazione corretta, ai tempi di consegna dei moduli per la scelta, il mancato inserimento delle attività alternative nell’offerta formativa e la conseguente mancata attivazione dei corsi alternativi, spesso erroneamente giusti- ficata con la mancanza di fondi – esistono infatti dei fondi appositi presso il Ministero dell’economia – , rendono la libertà di scelta sostanzialmente non effettiva, con un grave vulnus alla laicità della scuola e alla libertà di scelta degli studenti e delle loro famiglie.

Parlando di scuola e di insegnamento di religione, recentemente il noto teologo Vito Mancuso ha rilanciato l’idea di poter avere nelle scuole un insegnamento laico delle religioni (11), per combattere l’analfabetismo religioso dilagante, ben descritto nei suoi caratteri e nelle sue dimensioni da un recente rapporto curato dal prof. Melloni (12).

Informazione

Esiste un problema di informazione per quello che riguarda le minoranze religiose. I pochi programmi televisivi gestiti dalle minoranze con una base di stabilità, come «Protestantesimo» e «Sorgente di vita», sono relegati alle ore antelucane o mattutine. Nessuna chance di vedere o sentire un esponente delle minoranze religiose nell’ambito di un qualsiasi dibattito culturale.

In realtà, non possiamo parlare di una vera e propria assenza, perché qualche volta le minoranze vengono tirate in causa. In alcuni casi si contrabbandano personaggi violenti e intolleranti come esponenti autorevoli di minoranze religiose – ma in realtà sono rappresentanti di se stessi e forse di qualche familiare – perché fanno audience quando le trasmissioni le si «butta in caciara», mentre i rappresen- tanti autorevoli delle minoranze religiose sono oscurati, perché non fanno audience e perché non rientrano nello schema «comportamenti sociali aberranti (terrorismo incluso, ma non solo)» uguale «minoranze religiose», che paradossalmente ci rassicura nel nostro smarrimento di fronte alle notizie terribili della cronaca.

Otto per mille e finanziamento agevolato

Una recente relazione della Corte dei Conti dedicata alla destinazione e gestione dell’8xmille dell’IRpef ha evidenziato i limiti dell’attuale sistema del finanziamento pubblico delle confessioni religiose con intesa, cui anche lo Stato partecipa. Tale sistema, infatti, secondo gli estensori della relazione, non rispetta i principi di proporzionalità, volontarietà e uguaglianza. La mancanza di trasparenza e la difficoltà di reperire i dati sono carenze informative tali da considerarsi un vero e proprio problema di democrazia.

Intesa firmata e non approvata dal Parlamento o rifiutata

Vi è ancora un intesa che riguarda alcune centinaia di migliaia di persone, quella con la Congregazione dei Testimoni di Geova, che, firmata per la prima volta nel 2000, attende ancora di essere approvata dal parlamento. Credo che questa mancanza di senso della continuità istituzionale tra governi, che si sentono liberi di ignorare il solenne impegno preso da chi li ha preceduti, ci faccia toccare con mano quale sia il livello di interesse per le tematiche della libertà religiosa che la politica, salvo encomiabili eccezioni, ha in Italia.

Con l’islam non si prende neanche in considerazione l’ipotesi di trattare per un’intesa, argomentando che non si riesce a trovare una organizzazione rappresentativa del mondo musulmano preso nel suo insieme. Ma una analoga considerazione a suo tempo non ha fermato lo Stato dal firmare intese con diverse denominazioni della cosiddetta «costellazione protestante» (13).

La libertà di pensiero, di convinzione e di religione

La libertà religiosa è una libertà che nei documenti internazionali è sempre abbinata alla libertà di pensiero e di convinzione. Da questo punto di vista, non trova ancora nel nostro paese un generale accoglimento della sensibilità di chi ha una punto di vista coscienziale forte, quando questo non è ancorato all’interno di un sistema di pensiero teistico. Così, in alcuni ambiti, come ad esempio la bioetica (penso alle tematiche del fine vita), è molto complicato o impossibile fare valere una sensibilità legata a convinzioni filosofiche e non confessionali.

Conclusione

Considerato il quadro che ho cercato per punti di delineare, senza pretesa di essere esaustivo (14), una normativa sulla libertà religiosa che scardini questo «basso continuo» è quanto mai necessaria, dal punto di vista culturale e politico, prima ancora che legislativo. Saprà la politica farsi carico di questa esigenza, sapendo che politicamente non è certo un tema che «paga» in termini di consenso?

 

TIZIANO RIMOLDI – Decano della facoltà avventista di teologia di Firenze

NOTE

1 Relazioni tratte da questo articolo sono state presentate a Roma, al Convegno «Dai culti ammessi alla libertà religiosa», 16 − 17 febbraio 2015, promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), in collaborazione con la Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo stato (CCERS), e a Firenze, al 2° Convegno «Disabilita il pregiudizio», dal titolo «Islamofobia in Italia?», organizzato dalla chiesa cristiana avventista del 7° giorno, da Radio Voce della Speranza, dall’Associazione internazionale difesa libertà religiosa, dall’Istituto di cultura biblica Villa Aurora, con il patrocinio del Comune di Firenze.

2 Nota giustamente Paolo Naso che il «concetto di fondamentalismo […] troppo spesso viene declinato in termini impropri, quasi un passepartout per rimandare a tendenze religiose confusamente accostate le une alle altre, mentre ciascuna di esse ha caratteri propri» (P. Naso, L’incognita post-secolare. Pluralismo religioso, fondamentalismi, laicità, Guida ed., Napoli, 2015, p. 99.

3 N. Colaianni, Diritto pubblico delle religioni. Eguaglianza e differenze nello Stato costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 43.

4 Cfr. R. N. Bellah, Le cinque religioni dell’Italia moderna, in F. L. Cavazza, S. R. Graubard (a cura di), Il caso italiano, Garzanti, Milano, 1974, pp. 440-469; R. N. Bellah, La religione civile in Italia e in America, Armando Editore, Roma, 2009.

5 Cfr. Pew Research Center, Latest Trends in Religious Restrictions and Hostilities, 26 febbraio 2015, passim, ora in http://www.pewforum.org/files/2015/02/Restrictions2015_fullReport.pdf , consultato il 04.11.2015.

6 Così la presidente della Camera dei Deputati, on. Boldrini, il 26 settembre 2014, in occasione dell’incontro con il presidente della FCEI, pastore Massimo Aquilante, ora in «NEV – Notizie evangeliche», Servizio stampa della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, anno XXXIV, numero 412 ottobre 2013.

7 Le modifiche approvate il 27 gennaio 2015 alla Legge Regione della Lombardia n. 12/2005, sono la punta di un iceberg di ostilità verso il pluralismo religioso e il pieno godimento per tutti del diritto di libertà religiosa. La suddetta, alla legge regionale, impone per la costruzione di nuovi luoghi di culto, la presenza di parcheggi per il 200 per cento della capienza, videocamere di sorveglianza, valutazione d’impatto ambientale e altre procedure aggravanti.

8 Come invece ad esempio fa l’articolo 18 Cost.: «I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale» [il corsivo è nostro].

9 Le Regioni non sono nuove a normare in maniera discriminatoria loro competenze in materia di confessioni religiose. Si prenda ad esempio il caso dei finanziamenti agli oratori. Cfr. T. Rimoldi, Oratori, Costituzione e laicità. Alcune considerazioni sulla recente legislazione regionale e statale in materia di oratori, in D. Bognandi, M. Ibarra (a cura di), Laicità umiliata, Collana della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, Torino, Claudiana, 2006, pp. 73-90.

10 «Il Consigliere comunale [di Calenzano], Americo D’Elia, ha inviato questo comunicato stampa per protestare contro la mancanza di presepi nelle scuole: «Mi rammarica vedere ogni mattina quando accompagno mio figlio a scuola a Calenzano, che le nostre scuole sono prive del presepe, un simbolo che appartiene alla nostra nazione, un simbolo che fa parte del nostro essere cristiani e cattolici. Cosa insegniamo ai nostri figli…? Perché non si può? La legge i regolamenti vietano il presepe? Anche se fosse non penso che si andrebbe in galera per aver messo un presepe a scuola. Io rispetto tutti e insegno ai mie figli di rispettare tutto e tutti e sarei il primo a inchinarmi in una moschea, sarei il primo a farlo davanti ad altre religioni che rispetto e condivido senza discriminazioni. Allora mi chiedo: perché io dovrei essere discriminato, nessuno chiede ad altri di guardare, nessuno chiede ad altri di farlo, nessuno chiede ad altri di pregarlo… si chiede solo di rispettarlo. Il primo presepe fu fatto da San Francesco d’Assisi esempio di umiltà vissuta nel nostro paese… San Francesco ultimo tra gli ultimi… Cosa rappresenta il presepe per chi lo vieta? Tommaso da Celano, cronista della Vita di San Francesco, descriveva brevemente la scena con queste parole “Si dispone la greppia, si porta il fieno, sono menati il bue e l’asino. Si onora ivi la semplicità, si esalta la povertà, si loda l’umiltà e Greccio si trasforma quasi in una nuova Betlemm”. Ecco, l’umiltà, la semplicità, sarebbe solo questo il segnale e l’insegnamento che dovremmo dare ai nostri figli, perché è anche con l’umiltà e con il rispetto che si onora tutto e tutti. Anche io ho fatto il mio presepe e l’ho fatto [sic] nella stanza del Movimento 5 stelle nella stanza della minoranza Comunale , nel palazzo comunale, perché anche i Cristiani oggi sono minoranza, minoranza di un popolo che nonostante rispetti tutto e tutti, non viene rispettato e difeso anche da chi come noi gli appartiene”». http://www.go- news.it/2014/12/05/delia-m5s-perche-niente-presepe-a-scuola/,   visitato   il   13 febbraio 2015.

11 L’idea di avere un insegnamento delle religioni nella scuola, svolto in maniera non confessionale, non è nuova. Sono già diversi anni che periodicamente il tema viene sollevato, ma non trova molto riscontro nell’ambito del mondo politico, salvo alcune encomiabili eccezioni, come quella dell’on. Melandri, che a suo tempo formò un gruppo di lavoro per preparare un disegno di legge in materia. Per quanto riguarda le proposte precedenti di insegnamento delle religioni, si vedano gli atti del Convegno «L’insegnamento delle religioni nella scuola», Roma, 25 febbraio 2004, in Coscienza e Libertà, 2004, n. 38, pp. 11-103.

12 A. Melloni (a cura di), Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia, Il Mulino, Bologna, 2014.

13 L’interessante locuzione è di S. Wydmusch, Typologie des disciplines protestantes, in F. Messner, S. Wydmusch (sous la direction de), Le droit ecclésial protestant, Strasbourg, Oberlin, 2001, p. 13. Massimo Introvigne e gli altri autori dell’Enciclopedia delle religioni in Italia preferiscono invece quella di «protestantismi». Cfr. M. Introvigne, P. Zoccatelli, Ippolito Macrina, V. Roldán, Enciclopedia delle religioni in Italia, Elledici, Leumann-Torino, 2001, passim.

14 Penso ad esempio al tema della libertà religiosa nelle carceri, all’interno delle quali, a fronte di una popolazione di tradizioni religiose diversificate (cattolica, ortodossa, musulmana, ecc.), l’unica assistenza spirituale strutturata è quella cattolica.

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