Nel 2009, alcuni professori dell’università Complutense hanno fondato un gruppo di ricerca (1), di cui anche io facevo parte, per analizzare le diverse dimensioni della «questione delle caricature di Maometto» del 2005 (2). Il nostro progetto, essendo una piccola parte di un programma universitario spontaneo ben più vasto (3), aveva come obiettivo quello di capire il conflitto e trovare delle direttive giuridiche, al fine di fornire una soluzione duratura alle tragiche situazioni mondiali cui assistiamo. Pensavamo, forse ingenuamente, di trovarci di fronte a un’esplosione di violenza e incomprensioni che si sarebbero placate con il tempo e che avremmo potuto prendere in considerazione in seguito, nella tranquillità dell’ambiente universitario. La realtà ci ha disillusi in quanto il caso delle vignette su Maometto si è ripetuto, con modalità differenti, più di una volta in un arco di dieci anni. L’ultimo episodio è accaduto a Parigi, nel gennaio 2015.

A causa di questo evidente conflitto tra «discorso laico» e «sentimento religioso», che è stato il tipo di confronto più comune in questi anni, si potrebbe concludere che il problema era a senso unico: il mondo secolarizzato occidentale attacca il mondo religioso orientale. Tuttavia, è altrettanto vero che «il discorso religioso» è stato etichettato «a casa nostra» come «offensivo» nei confronti dei sentimenti laici, specialmente nella sfera dell’ideologia gender.

Questo conflitto era ben lungi dall’essere «spontaneamente» risolto, considerato che le parti coinvolte hanno continuato a ribadire le loro rispettive posizioni. I media occidentali hanno risposto agli attacchi con «l’inasprimento dei discorsi» e le frange radicali dell’islam hanno reagito con «l’intensificazione dei proiettili». Alla fine, questa competizione «a chi grida più forte» è costata molte vite innocenti, ci ha allontanati gli uni dagli altri, ha ostacolato il progresso dei diritti umani e ha sepolto il dialogo come strumento per promuovere la pace tra i popoli.

È facile dedurre che il nostro gruppo di ricerca non abbia trovato alcuna promettente soluzione, contrariamente a quanto immaginato all’inizio del nostro lavoro accademico. Tuttavia, dopo tre anni di ricerca giuridica – comparando le leggi di diversi paesi, analizzando gli strumenti giuridici internazionali e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani – siamo pervenuti a diverse conclusioni riguardo a questo conflitto, che sembrava insolubile, tra la libertà di espressione e i sentimenti religiosi. Sarebbe pretenzioso da parte mia provare a sintetizzarle tutte, così come ergermi a portavoce di tutti i miei colleghi del gruppo di ricerca. Preferisco dunque fornire di seguito alcune mie idee personali.

È importante sottolineare che, in quasi tutti i casi, non c’è alcun conflitto legale, in senso stretto, tra libertà di religione e libertà di parola. Un reale conflitto giuridico sorge quando «un diritto autorizza qualcosa che un altro diritto vieta» (4). Ma non è questo il caso: il fatto che qualcuno pronunci parole ingiuriose, ritenute da chi le ascolta offensive, provocatorie o anche blasfeme, non significa necessariamente che stia violando il diritto altrui di avere, cambiare o adottare una religione o una convinzione, sia essa individuale o comunitaria, o di manifestare la propria religione o convinzione attraverso il culto, l’osservanza di regole, la pratica di riti o l’insegnamento. Inoltre, il diritto alla libertà di parola non implica quello di non ascoltare. «La libertà di parola pone l’accento sull’oratore e su ciò che viene detto. (…) La preoccupante tendenza è lo spostamento verso l’ascoltatore e ciò che viene udito, o il modo in cui si percepiscono le cose, compresa la possibilità che un individuo o un gruppo possa sentirsi ferito o offeso da ciò che è stato espresso. C’è una deviazione dall’obiettivo (ciò che è stato espresso) al soggettivo (come è stato ricevuto, percepito). Ciò è contrario a una regola fondamentale del diritto» (5). Ovviamente, è solo nel caso in cui un discorso offensivo «rischi con molta probabilità di causare violenza e morte, che costituisce un motivo per cui lo stato applichi una sanzione. Lo stesso vale nel caso in cui offendere le convinzioni religiose di qualcuno potrebbe causare molto probabilmente un grave stress psicologico o danni a quella persona» (6).

Detto questo, è indiscusso che «un ambiente sociale di libero scambio di idee e di libera espressione, ivi compresa la libera espressione di credenze, è qualcosa di essenziale per la democrazia. Al contrario, un ambiente sociale dominato dall’aggressione verbale o dalla violenza non è certamente l’ambiente più adatto per l’esercizio delle libertà. Da questo punto di vista, gli attacchi contro la religione non sono intrinsecamente diversi da quelli basati sul sesso, sulla razza o sull’origine nazionale; e tutti questi fattori sono menzionati all’articolo 14 della Convenzione europea dei diritti umani, che vieta la discriminazione» (7).

Inoltre, il nuovo scenario, raffigurante lo scontro tra libertà di espressione e sentimenti religiosi, ha delle nuove caratteristiche, inedite e sorprendenti. Ciò è dovuto in parte al «potenziale eventuale e imprevedibile» del discorso offensivo. Internet riesce a raggiungere paesi e culture in cui il contesto e le reazioni non possono essere valutati sulla base delle aspettative dei media occidentali. Da molti anni Oliver Wendell Holmes ha sottolineato il ruolo delle circostanze e del luogo in caso di limitazione della libertà di parola: «La tutela più rigorosa della libertà di parola non protegge colui che falsamente grida “al fuoco” in un teatro, causando il panico. Non lo esenta nemmeno da un’ingiunzione che vieti di pronunciare parole che potrebbero dare l’impressione di esercitare un potere. […] In ogni caso, il problema che si pone è sapere se le parole utilizzate lo sono in queste circostanze e sono di natura tale da generare un pericolo ovvio e immediato al punto da suscitare i grandi mali che il Congresso ha il diritto di impedire. È una questione di imminenza e ampiezza» (8). Oggigiorno, aumenta l’importanza del contesto nella misura in cui internet e la tecnologia rendono quasi impossibile sapere (ritorniamo a Wendell Holmes) se si è in un teatro, se questo è vuoto o affollato, e da chi, precisamente, è composto il pubblico (vigili del fuoco? Piromani?).

In un mondo globalizzato, dovremmo poter pensare e agire in modi diversi, e con differenti attitudini. In primo luogo, potremmo pensare e agire localmente: «Qui in Europa, la libertà di parola è sacra, include il diritto di pubblicare cose   che potrebbero essere considerate offensive o blasfeme… La libertà di parola è la stessa per tutti: io posso dire “X”, voi potete dire “Y”… Il libero mercato delle idee fa parte del gioco. Qual è la situazione in Pakistan o in Nigeria? Beh, non è un nostro problema…». In secondo luogo, potremmo pensare localmente e agire globalmente: «Chiunque, in qualsiasi parte del mondo, deve rispettare i diritti umani. Mettiamo in pratica la libertà di parola in tutto il mondo così da poterlo cambiare, rispondendo all’incremento della violenza con l’aumento delle parole. Qual è la situazione in Pakistan o in Nigeria? Ebbene, difendere la libertà può portare al martirio». E, infine, pensare e agire globalmente: «La libertà di parola è un diritto umano fondamentale che ogni essere umano possiede. Sicuramente ci sono parole la cui portata va al di là dei nostri confini culturali… Per cui, pensiamo anche a quelle persone innocenti e facciamo un uso responsabile della nostra libertà». Quest’ultima opzione non è soltanto una scelta «etica». Nel suo riconoscimento della libertà di espressione, la Convenzione europea dei diritti umani precisa che questo diritto «comporta doveri e responsabilità». In un contesto mondiale, non tutti i doveri e le responsabilità sono specificati nel diritto interno. «La libertà di espressione deve includere il diritto legale di offendere. Ma non, in tutte le circostanze, la totale libertà di farlo» (9).

Oltretutto, la globalizzazione ci ha permesso di sperimentare la religione come un fenomeno sfaccettato. Nel pensiero occidentale, la religione è una questione di scelta (10), fa parte delle idee che ognuno può avere o non avere, può cambiare o abbandonare. Ora, nel mondo orientale si ritiene che essa faccia parte dell’identità personale (11). La stampa occidentale a volte intende ridicolizzare o criticare le «idee», non le persone. Eppure, l’effetto in Oriente risulta molto diverso. Ciò non vuol dire che la libertà di parola vada misurata sulla base della sensibilità dell’ascoltatore, ma incoraggia a prendere consapevolezza della complessità della religione in un contesto globale.

La violenza non è una risposta legittima alle parole, noi tutti lo sappiamo bene. Le reazioni violente da parte degli estremisti (nei paesi sia musulmani sia non musulmani, ricordiamocelo sempre) richiedono serie riflessioni e interventi all’interno del mondo islamico. Allo stesso tempo, la libertà di espressione nell’ambito dei sentimenti religiosi richiede un certo grado di sensibilità e responsabilità. Così, come ha fatto notare una studentessa universitaria spagnola nel 2012, in occasione di uno dei terribili episodi di questa vicenda a lungo termine (12), quando il Parlamento e il popolo libico hanno chiesto perdono per l’assassinio dell’ambasciatore degli Stati Uniti, domandando allo stesso tempo rispetto per le convinzioni islamiche, hanno cominciato a percorrere la strada giusta. Hanno respinto la violenza, ma hanno richiesto decenza da parte dell’Occidente. Infatti, in una società diversificata, ma talvolta instabile, gli attacchi ingiusti contro le grandi religioni non sono affatto rari. Il problema è come reagire adeguatamente.

 

RAFAEL PALOMINO – Docente dell’università Complutense di Madrid.

NOTE

1 Ministero spagnolo dell’Educazione e delle Scienze, progetto «Libertà di religione e libertà d’espressione» (2009-2011), rif. DER 2008-05283

2 Una parte dei risultati, con i contributi di altri universitari europei, è stata pubblicata in J. Martínez-Torrón e S. Cañamares Arribas (a cura di), Tensiones entre libertad de expresión y libertad religiosa, Tirant loBlanch, Valencia, 2014.

3 La produzione scientifica su questo argomento sfugge quasi a ogni controllo. Possono essere menzionati, tra gli altri, F. Alicino, «Liberté d’expression et religion en France. Les démarches de la laïcité à la française», in La Costituzione francese/La constitution française, a cura di M. Calamo Specchia, Giappichelli, Torino, 2009, vol. 2; S. Angeletti, «La diffamazione delle religioni nei documenti delle Nazioni Unite: Alcune osservazioni critiche», in Coscienza e Libertà, ADV, Firenze, 2010, vol. 44; I. M. Briones Martínez, «Religión y religiones en el Reino Unido. Diez años desde la ley de Derechos Humanos a la supresión del delito de blasfemia», in Anuario de Derecho Ecle- siástico del Estado, 2009, vol. 25; B. Chelini-Pont, «La diffamazione delle religioni: un braccio di ferro internazionale (1999-2009)», in Coscienza e Libertà, 2010, vol. 44; B. Clarke, «Freedom of Speech and Criticism of Religion: What are the Limits?», in Murdoch Universitye Law Journal, 2007, vol. 14, n. 2, sito consulato il 10.04.2015 https://elaw.murdoch.edu.au/archives/elaw14-2-2007.html; N. Colaianni, «Diritto di satira e libertà di religione», in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, maggio 2008, sito consultato il 07.08.2012: http://www.statoechiese.it/images/ stories/2008.5/colaianni_diritto.pdf; Z. Combalía Solís, «Libertad de expresión y difamación de las religiones: el debate en Naciones Unidas a propósito del conflicto de las caricaturas de Mahoma», in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, 2009, vol. 19; Consiglio d’Europa, Commissione di Venezia, Blasphemy, insult and hatred – Finding answers in a democratic society, Council of Europe Publishing, Strasburgo, 2010; A. M. Emon, «On the Pope, Cartoons, and Apostates: Shari’a 2006», in Journal of Law and Religion, 2006, vol. 22; C. Evans, «Religion and freedom of expression», in Fides et libertas, 2010; J. Ferreiro Galguera, «Las caricaturas sobre Mahoma y la jurisprudencia del Tribunal Europeo de los Derechos Humanos», in Revista Electrónica de Estudios Internacionales, 2006,vol. 12; P. Floris, «Libertà religiosa e liberta di espressione artistica», in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, 2008, vol. 1; J. FOSTER, «Prophets, Cartoons, and Legal Norms: Rethinking the United Nations Defamation of Religion Provisions», in Journal of Catholic Legal Studies, 2009, vol. 48, n. 1; D. García-Pardo, «La protección de los sen- timientos religiosos en los medios de comunicación», in Ius Canonicum, vol. XL, 79; M. Grinberg, «Defamation of Religions v. Freedom of Expression: Finding the Balance in a Democratic Society», in Sri Lanka Journal of International Law, 2006, vol. 18; C. C. Haynes, «Living with our Deepest Diffe- rences: Freedom of Expression in a Religiously Diverse World», in Fides et Libertas, vol. 2008-2009; N. Lerner, «Freedom of Expression and Incitement to Hatred», in Fides et Libertas, vol. 2008-2009; Á. López-Sidro López, «Libertad de expresión y libertad religiosa en el mundo islámico», in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, 2012, 30; J. Martínez Torrón, «Libertad de expresión y libertad de religión. Comentarios en torno a algunas recientes sentencias del Tribunal Europeo de Derechos Humanos», in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, 2006,11; L. Martín-Retortillo Baquer, «Respeto a los sentimientos religiosos y libertad de expresión», in Anales de la Real Academia de Jurisprudencia y Legislación, 2006, vol. 36; I. Minteguia Arregui, « Libertad de expresión artística y sentimientos religiosos», in Anuario de Derecho Eclesiástico del Estado, 1998, 14; I. Minteguia Arregui, «El arte ante el debido respeto a los sentimientos religiosos», in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, 2006, 11; D. Norris, «Are Laws Proscribing Incitement to Religious Hatred Compatible with Freedom of Speech?», in Ucl Human Rights Review, 2008, vol. 1, n. 1; F. Pérez-Madrid, «Incitación al odio religioso “hate speech” y libertad de expresión», in Revista General de Derecho Canónico y Derecho Eclesiástico del Estado, 2009,19; G. Puppinck, «Lottare contro la diffamazione delle religioni», in Coscienza e Libertà, 2010, vol. 44; J. Rivers, «The Question of Freedom of Religion or Belief and Defamation», in Religion and Human Rights, 2007, 2; A. Sajó (a cura di), Censorial sensitivities: free speech and religion in a fundamentalist world, Eleven International Publ., Utrecht, Portland (Oregon), 2007; J. Temperman, «Blasphemy, Defamation of Religions and Human Rights Law», in Netherlands Quarterly of Human Rights, 2008, vol. 26, n. 4.

4 L. Zucca, Constitutional Dilemmas: Conflicts of Fundamental Legal Rights in Europe and the USA, Oxford University Press, New York, Oxford, 2007, p. 51.

5 M. Tunehag, «Religious Cartoons & Sermons on Homosexual Practice», Global Trends, Concerns and Recommendations Regarding Freedom of Speech & Religion, 2007, p. 6, consultato il 12.12.2011, all’indirizzo   http://www.worldevangelicals.org/news/article.htm?id=1556

6 G. Letsas, Is There a Right not to be Offended in Ones Religious Beliefs?, SSRN eLibrary, 2009, sito consultato il 10.04.2015: http://ssrn.com/paper=1500291

7 J. Martínez-Torrón, «La tragedia de “Charlie Hebdo”: algunas claves para el análisis jurídico», in El Cronista del Estado Social y Democrático de Derecho, 2015, vol. 50, p. 26.

8 Schenck v. United States, 249 US 47 at 52 (1919).

9 F. Klug, «Freedom of Expression Must Include the Licence to Offend», in Religion and Human Rights, 2006, vol. 1, p.227.

10 J. H. Garvey, What are freedoms for?, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1996, pp. 43-49; M. J. Sandel, «Freedom of Conscience or Freedom of Choice», James Davison Hunter, Os Guinness (dir.) Articles of Faith, Articles of Peace: The Religious liberty Clauses and the American Public Phi- losophy, Brookings Institution Press, 1990.

11 S. Mahmood, «Religious Reason and Secular Affect: An Incommensurable Divide?», in Critical Inquiry, 2009, 35.

12 R. Navarro-Valls, «La Globalización del Odio», in Zenit del 20.09.2012, sito in spagnolo consultato il 30.10.2012: http://www.zenit.org/es/articles/la-globalizacion-del-odio

 

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