Costituzione italiana e religioni

L’appuntamento odierno è un’occasione importante che sollecita l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulla questione della libertà religiosa, diritto sancito dalla nostra Costituzione che dedica a questo argomento diversi articoli (in particolare l’articolo 7, l’articolo 8 e l’articolo 19 dei quali parlerò approfonditamente più avanti). Una legge sulla libertà religiosa: urgente, inutile, impossibile? Il titolo del Convegno richiama a noi, ancora una volta, la grande attualità della Costituzione italiana e la lungimiranza dei Padri Costituenti anche su un tema come questo, così centrale nella nostra società.

Il primo quarto di secolo di applicazione della Costituzione è stato tuttavia segnato dalla mancata concretizzazione degli innovativi principi – in essa espressi – di uguaglianza e di libertà religiosa e dalla precisa prevalenza delle norme dei Patti Lateranensi del 1929. La necessità – pur riconosciuta, in seno all’Assemblea Costituente – di adeguare il sistema concordatario con la Chiesa cattolica e di attuare la legislazione su base di intese con le altre confessioni, non trovò alcuna considerazione in sede politica fino ai dibattiti culturali, politici e parlamentari che si svilupparono nella quarta e quinta legislatura. Ci vorranno la legge sul divorzio e l’aborto, i nuovi orientamenti della giurisprudenza costituzionale e anche l’evento rappresentato dal Concilio Vaticano II, per dare una svolta concreta al problema dell’attuazione dei principi costituzionali in materia di libertà di religione e di relazioni tra Stato e confessioni religiose.

È stato quindi l’ultimo venticinquennio del secolo quello che ha visto un primo sviluppo, nella nostra Repubblica, di una politica che si occupasse di tematiche legate alle confessioni religiose, e di un tentativo, spesso anche contrastato, di applicazione di quei principi.

In una società come quella italiana, toccata da profondi cambiamenti già dagli anni ottanta e novanta, con il progressivo apparire di un quadro sempre più multietnico e multireligioso, la nostra Costituzione si è rivelata forse ancor più di altre Costituzioni europee in grado di governare sia i processi di secolarizzazione che le trasformazioni confessionali del territorio. L’Italia, in questi ultimi decenni, si è trovata a fare i conti non solo con precetti della Convenzione Europea dei diritti umani e con il suo sistema di controlli giurisdizionali, ma anche con le più ‘vicine’ normative dell’Unione Europea che incidono direttamente e, talvolta, immediatamente, nel quadro della tutela dei diritti fondamentali, sulle libertà individuali e collettive di religione e sulla difesa contro ogni tipo di discriminazione.

Un sistema pattizio adattabile alle diverse (antiche e nuove) presenze religiose, ma ancorato ai capisaldi costituzionali della separazione degli ordini, dell’uguale libertà di tutte le confessioni, dell’irrilevanza della appartenenza religiosa sul piano dell’uguaglianza dei cittadini, come quello italiano, è stato, quindi, in grado di sostenere sia la crescente secolarizzazione che le trasformazioni e gli sviluppi confessionali meglio, ad esempio, a mio giudizio, del più rigido sistema francese.

Articoli costituzionali e problemi aperti

Purtroppo però il principio della libertà religiosa, espresso in modo così chiaro nella nostra Carta, non trova oggi in Italia una piena e completa applicazione. A causa dei ritardi della legislazione in materia, gran parte delle intese attendono ancora in Parlamento, fatte salve alcune eccezioni.

In base alla revisione del Concordato con la Chiesa cattolica, avvenuta nel 1984, si ribadisce all’articolo 1 che: «La Repubblica italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti ed alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese». Tuttavia, in relazione all’articolo 1, il nuovo Concordato stabilisce che: «Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano».

E la successiva «Relazione sui principi», formulata dalla Commissione paritetica per gli enti e i beni ecclesiastici in data 6 luglio 1984, si esprime nei seguenti termini: «Si è d’accordo che, cessati i presupposti del sistema delle congrue e dei connessi controlli statali, il mantenimento sotto altra forma del medesimo sistema, che finirebbe per costituire un mero finanziamento diretto al clero, risulterebbe meno rispondente ai nuovi principi cui si ispirano le relazioni tra Stato e Chiesa dopo gli accordi del febbraio 1984. Peraltro, anche sulla scorta di una concezione dei rapporti tra Stato e società adeguata al sistema costituzionale, si è riconosciuto l’indubbio interesse collettivo alla introduzione di forme moderne di finanziamento delle Chiese attraverso le quali si agevoli la libera contribuzione dei cittadini per il perseguimento di finalità e il soddisfacimento di interessi religiosi» (II, n. 5).

E così è avvenuto, mediante la stipulazione di diverse Intese, ai sensi dell’art. 8, comma terzo della Costituzione.

Occorre accelerare sulla strada dell’approvazione di questi provvedimenti e assicurare pienamente il diritto fondamentale di libertà religiosa a centinaia di migliaia di persone che appartengono alle confessioni minori e a religioni diverse da quella cattolica.

Il nostro Paese è sempre più caratterizzato da diversità territoriali, sociali, linguistiche, etniche, culturali e religiose. Lo Stato deve tutelare le minoranze e garantire a tutti spazi di libertà per l’esperienza religiosa. Ognuno deve avere la possibilità di far vivere i propri valori, purché coerenti con la Dichiarazione universale dei diritti umani e con la Costituzione e nel rispetto delle regole e delle libertà altrui. Le comunità religiose, che nel nostro Paese hanno un forte radicamento nel territorio, devono veder garantito l’esercizio delle proprie professioni di fede.

In riferimento alle disposizioni costituzionali, il nostro ordinamento prevede tre modalità di rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose e, quindi, tre differenti tipologie di fonti del diritto:

a) un principio pattizio con la Chiesa Cattolica trasposto nel Concordato (art. 7 Cost.); « 7 – Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione   costituzionale».

b) un principio pattizio con le confessioni diverse dalla cattolica trasposto nella stipula e poi ratifica delle intese, nate come strumenti (art. 8); «Art. 8 – Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze».

c) una legge generale sulla libertà religiosa, in attuazione dell’articolo 19 della Costituzione e che dovrebbe rispondere ai limiti lì previsti (limite del buon costume, libertà di proselitismo, libertà di culto in forma associata). «Art. 19 – Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».

La legge sulla libertà religiosa

In realtà, una legge sulla libertà religiosa è già esistente. Essa è pre-costituzionale (cd. Legge sui culti ammessi, n. 1159 del 1929), negativa nell’impianto, tanto da essere stata in più passaggi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale perché non compatibile con il nuovo assetto costituzionale stesso.

Due proposte di legge in materia di libertà religiosa sono state presentate all’inizio della XV legislatura – II Governo Prodi – dai deputati Boato e Spini. L’onorevole Zaccaria, relatore del provvedimento presso la I Commissione della Camera dei deputati, presentò in seguito un testo unificato, il 4 luglio 2007, adottato come testo base dalla Commissione. Si trattava di un testo che presentava profonde differenze rispetto alle citate proposte di legge (atto Camera n. 36 Boato e atto Camera n. 134 Spini) che, riproducendo i provvedimenti di iniziativa governativa presentati dai governi Prodi e Berlusconi nelle precedenti legislature, presupponevano un quadro della situazione risalente agli anni novanta poi profondamente mutato. A seguito dell’adozione del testo base, si è quindi svolto un ulteriore ciclo di audizioni, che ha avuto luogo il 16 luglio 2007.

Con la fine prematura della XV legislatura, la proposta di legge è stata ripresentata per la XVI sempre dall’On. Zaccaria. Concepita come legge di attuazione della Costituzione, essa mantiene, come punti fermi i princìpi contenuti nel testo costituzionale e ha l’obiettivo di dare loro attuazione in un’epoca certamente diversa dal 1948. Tale normativa ha il vantaggio di poter tenere conto dei risultati raggiunti dalla giurisprudenza, dalla dottrina e anche dalla prassi concreta che, in questi anni, si è venuta determinando. Fedele all’impostazione costituzionale, non intende disciplinare l’attività della Chiesa cattolica, oggetto di disciplina concordataria, ma mira a dare attuazione soprattutto agli articoli 3, 8, 19 e 20 della Costituzione, oltre naturalmente alle altre norme costituzionali che si riferiscono oggettivamente, anche se implicitamente, al fenomeno religioso, primo, tra tutte, l’articolo 2.

Inoltre, tra gli aspetti caratterizzanti della proposta di legge si rileva l’intenzione di offrire alla libertà religiosa, intesa nel senso più ampio, una disciplina coerente con il principio dell’eguale libertà contenuto nell’articolo 8 della Costituzione. Un trattamento più garantito su scala generale potrà rendere indubbiamente più agevole per il futuro il problema delle intese, che pure la Costituzione prevede. Non esiste, infatti, con riferimento alle confessioni religiose diverse dalla cattolica, un diritto all’intesa ai sensi dell’articolo 8 della Costituzione; per questa ragione, sono stati introdotti nel testo elementi di chiarezza e di coerenza con l’ordinamento giuridico italiano per le confessioni che aspirano al riconoscimento della personalità giuridica.

Nella proposta di legge si tratta il tema dell’insegnamento religioso, che comporta delicatissimi problemi di principio, soprattutto verso i minori, e disposizioni che trattano la materia di discriminazioni nella società e nel lavoro, nello statuto relativo ai luoghi di restrizione della libertà personale, nelle regole relative agli edifici di culto e in tante altre situazioni.

Tale proposta di legge è ormai da anni bloccata alla Camera. Il suo impianto è certamente migliorabile, ciò che resta fermo e indispensabile è la necessità di una legge quadro. È irrinunciabile una legislazione organica sulla materia. È necessaria per far vivere pienamente la laicità, riconoscendo una presenza pubblica a tutte le confessioni religiose. E quello che occorre è che sia una «buona legge». L’Italia ha bisogno di non creare nuovi terreni di scontro. La pace religiosa è un bene troppo prezioso, da salvaguardare ad ogni costo.

Questo impegno non è realisticamente (purtroppo) collocabile nell’attività residua di questa legislatura. Il confronto culturale e politico è indispensabile, fondamentale.

Che cosa fare?

Il principio pattizio e quello della legge generale non sono tra loro antitetici, bensì complementari. Tuttavia, di legge generale sulla libertà religiosa si parla sin dalla seconda metà degli anni Ottanta, senza che si sia riusciti a superare né l’inerzia né le vere e proprie resistenze che ne hanno impedito l’approvazione. Le intese, al contrario – prima limitate alla famiglia cristiana e alla comunità ebraica – sono state estese anche a buddhisti e induisti. La prima intesa è stata quella con la Tavola valdese, approvata con legge nel 1984. Ad essa hanno fatto seguito le intese, stipulate e approvate con legge dello Stato, con: avventisti, Assemblee di Dio in Italia (ADI), Comunità ebraiche, battisti e luterani.

Nel corso della XV legislatura, tra marzo e aprile del 2007, il Governo Prodi ha stipulato sei nuove intese (alcune peraltro già firmate in passato e poi sottoscritte nuovamente) che interessavano la Chiesa apostolica (apostolici), la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni), la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, la Sacra diocesi d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale (Ortodossi), l’Unione Buddhista Italiana e l’Unione Induista Italiana.

La vicenda di queste intese è stata particolarmente lunga e travagliata, anche a causa della fine anticipata della   Legislatura.

Nel giugno del 2010 il Governo Berlusconi ha ripresentato al Senato i disegni di legge relativi alle sei confessioni religiose. Alcuni di questi (ortodossi, apostolici e mormoni) sono passati alla Camera dei Deputati e, grazie al parere positivo dell’attuale Governo Monti, sulle prime due (ortodossi e apostolici), la Commissione affari costituzionali potrà agire in sede deliberante. Ciò era già accaduto in Senato (prima volta nel caso di intese del tutto nuove). Se ci sarà la volontà politica, le due intese potranno dunque divenire legge in tempi molto brevi.

In un percorso parallelo, i senatori L. Malan e S. Ceccanti hanno presentato alcuni disegni di legge bipartisan, di iniziativa parlamentare, relativi tra gli altri alla ratifica delle intese con induisti e buddhisti. Sono stati questi disegni di legge a sollecitare l’iniziativa del Governo Berlusconi perché le intese riprendessero il loro cammino parlamentare così da venire assorbiti proprio dai disegni di legge di iniziativa governativa.

Tuttavia, a motivo delle numerose resistenze, in particolare da parte del gruppo della Lega Nord, i due disegni di legge relativi a buddhisti e induisti, sia di iniziativa governativa che parlamentare, si sono arenati nella Commissione affari costituzionali del Senato.

È difatti diffusa, in alcuni settori politici, l’opinione che l’approvazione, per la prima volta, dell’intesa con confessioni estranee alla tradizione giudaico-cristiana possa fungere da apripista per l’intesa con il mondo musulmano. L’Islam attualmente è la terza religione italiana, dopo il cristianesimo, per numero di fedeli (primi i cattolici, secondi gli ortodossi, terzi gli islamici). Peraltro, la natura negoziale e pattizia prevista dall’articolo 8 della nostra Costituzione fa sì che lo strumento flessibile dell’intesa sia probabilmente quello più congeniale a relazionarsi con le peculiarità dell’Islam.

Occorre procedere rapidamente con le intese, entro la fine della XVI legislatura. Questo è l’obiettivo fondamentale.

Considerazione finale: democrazia e laicità

La politica deve contribuire a riconoscere e organizzare uno spazio pubblico, al cui interno si muovano liberamente le Chiese cristiane, le altre confessioni religiose, le culture di differente orientamento.

La Costituzione ci è di aiuto per procedere su questa strada. Non è modellata attorno a una rigida separazione, ma piuttosto intorno all’autonomia tra Stato e Chiese. E non si limita a registrare un giusto ordinamento per le reciproche relazioni, ma, con straordinaria lungimiranza, impegna lo Stato a promuovere le condizioni per la libera espressione delle fedi religiose.

La religione non è considerata semplicemente un legittimo diritto privato e lo Stato non si limita a un ruolo di indifferente neutralità, ma assume una funzione attiva per salvaguardare la libertà e l’esperienza religiosa – riconoscendone dunque un valore anche sociale – in un regime di pluralismo confessionale e culturale.

La nostra società moderna è caratterizzata da una forte presenza delle fedi religiose e quella di cui abbiamo bisogno oggi è una laicità di integrazione: non un luogo indistinto dato dall’assenza di valori condivisi. La stessa scelta della laicità è un valore in sé. A fondamento della laicità è poi la persona, nella sua interezza e nella sua irripetibilità: la sua dignità, il suo bisogno di una relazione con gli altri. La persona non è l’individuo egoistico. Alla base della laicità deve essere posto il senso del limite – che deve guidare ogni azione umana – il criterio di reversibilità delle scelte che vengono compiute e riguardano il rispetto della persona, i suoi rapporti con gli altri e con il pianeta. La laicità è parte integrante e inseparabile dalla libertà: così deve essere pensata e vissuta nel terzo millennio.

A me piace, su questa linea di pensiero, partire dall’immagine proposta dal sociologo francese, protestante, Jean Baubérot.

La laicità va pensata come un grande spazio disegnato dai tre lati di un triangolo. Gli atei e gli agnostici partono dal lato della laicizzazione, cioè dall’affermare solennemente che lo Stato non si può identificare con nessuna confessione religiosa: è uno dei principi costitutivi della laicità, ma non l’unico.

Gli appartenenti alla religione di maggioranza muovono da un altro lato, quello della libertà: la libertà religiosa, la libertà di manifestare la religione in pubblico, di esprimersi su tutti i temi pubblici. Ma anche questo non è l’unico lato della laicità. Infine, quanti aderiscono alle confessioni minoritarie partono dal terzo lato, quello dell’uguaglianza: sostengono che la differenza numerica non deve comportare disparità di trattamento. Anch’essi rischiano di restare fermi nel loro singolo lato. Laicità, invece, è l’attitudine mentale a partire dal punto nel quale si è collocati, senza dimenticare che le decisioni della sfera pubblica devono essere prese insieme e stanno all’interno dello spazio racchiuso dai tre lati. Uno spazio comune e condiviso. A nessuno è chiesto di rinunciare alla propria identità, di smarrire se stesso, i propri valori di riferimento: a tutti è chiesto di aderire a un metodo che si fondi sul confronto, sul dialogo, sulla persuasione che lo Stato non può imporre convinzioni di fede o di cultura. L’Italia può rafforzare identità e valori comuni con la cultura, il dialogo, con una politica capace di non abbandonare i più deboli e di affrontare le ingiustizie.

È necessario un confronto, l’umiltà di comprendere che nessuno ha soluzioni precostituite per temi inediti, ma vi è la necessità di una paziente, faticosa ricerca comune. Il problema centrale nelle nostre società non è quello di ricreare vecchi steccati tra laici e cattolici, credenti e non credenti e cittadini appartenenti a fedi e culture differenti: è quello di ridefinire, tutti insieme, i nuovi fondamenti di un’etica condivisa, una sorta di massimo comune denominatore per le società del XXI secolo.

 

VANNINO CHITI – Senatore, vicepresidente del Senato Articolo edito in Coscienza e Libertà 46/2012.

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