Coscienza e Libertà: Intanto le chiediamo un commento sull’ordine esecutivo emanato dal presidente Trump che blocca l’ingresso negli USA per le persone provenienti da 7 paesi musulmani.

Lia Quartapelle: È una scelta politica da un lato inumana e dall’altro pericolosa: per combattere il fenomeno connesso con l’immigrazione clandestina e il terrorismo di matrice islamista serve la collaborazione degli Stati e poi delle persone di fede musulmana. Il «Muslim ban» o «Trump ban» o questa forma di vetting molto estrema, è stato fatto con l’idea di proteggere il Paese dal terrorismo controllando l’immigrazione. Trump è il primo a fare questa equazione. Penso, ribadisco, che sia una mossa molto pericolosa perché ha generato il caos e pregiudica la possibilità di collaborazione con dei Paesi che sono coinvolti nel contrasto alle immigrazioni clandestine o al terrorismo, penso in particolare alla Libia e alla Somalia,… dove per quanto possibile stiamo cercando di sostenere i Governi perché ci aiutino a contrastare sia il terrorismo sia i fenomeni dei confini porosi; dunque la scelta che ha fatto Trump è pericolosa e controproducente.

CeL: Passa peraltro l’idea che il tema della sicurezza in futuro andrà sempre più massicciamente declinato come negazione dei diritti civili e religiosi?

L.Q.: Secondo me è vero esattamente il contrario. Il modo migliore per avere sicurezza è, da un lato, garantire la certezza del diritto – cosa che questo provvedimento non garantisce a causa della sua inapplicabilità – dall’altro lato, il rispetto di tutti. Fare, per contro, delle discriminazioni a priori, in particolare su base religiosa, è il modo migliore per radicalizzare una parte della comunità musulmana che radicalizzata non è, e che anzi nel mondo soffre più dell’Occidente ed è vittima di fenomeni di terrorismo; per cui è davvero pericolosa questa equazione che viene fatta con questo provvedimento che è indiscriminato e che discrimina, alienando qualsiasi alleato nella lotta sia al terrorismo sia ai fenomeni di immigrazione clandestina.

CeL: la reazione dell’Europa è all’altezza della sfida?

L.Q.: Ho sentito da parte dei leader politici europei delle parole generalmente coraggiose, penso che lo stesso coraggio debba essere mostrato nel rafforzare le misure europee di contrasto ai fenomeni che ci rendono insicuri.

CeL: Sembrerebbe però che alcuni Paesi dell’Est Europa come l’Ungheria e   la Polonia, non siano così scossi dall’agire di Trump e anzi ne sottolineano l’importanza

L.Q.: A tutti quei partiti politici, movimenti o Governi che si entusiasmano per le politiche di Trump consiglierei di prestare un po’ di attenzione perché, chiudendo una porta c’è sempre qualcuno che rimane fuori; il presidente Trump è abbastanza indiscriminato nella scelta di chi lascia fuori e altrettanto determinato nel non farsi piegare nella definizione della propria linea politica. Quindi, oggi gioire per questi confini, per questi muri che si alzano, perché si vorrebbe replicare lo stesso schema, fa dimenticare che chiudere la porta ed erigere dei muri e rafforzare i confini ha poi delle conseguenze su noi stessi. Anche in Italia una serie di movimenti e partiti politici sono stati molto contenti dello slogan «American first» o «By American», cioè il protezionismo in ambito commerciale; ecco: io credo   che questi slogan abbiano un costo per l’Italia; la stessa cosa vale per la politica dei controlli ai confini che avrà inevitabilmente un costo, sia sulla cooperazione internazionale sia, più in generale, sulla libertà di movimento. Per cui è veramente un po’ provinciale pensare di beneficiarne…

CeL.: Questo avvertimento lo farebbe anche alla Gran Bretagna che sembra aver dato un’apertura di credito importante all’amministrazione americana?

L.Q.: Penso di sì, il primo ministro May ha fatto delle dichiarazioni abbastanza sicure su questa politica delle immigrazioni di Trump. Il protezionismo, o comunque la chiusura dei confini, implica che se tu chiudi una porta lasci qualcuno fuori; con la erraticità delle decisioni di Trump io credo che nessuno possa sentirsi tranquillo di avere un alleato affidabile. I primi passi dell’amministrazione Trump giustificano molti timori. Quindi anche alla Gran Bretagna consiglierei molta prudenza.

CeL: In che misura, a suo giudizio, la libertà religiosa rappresenta un parametro decisivo per verificare lo stato di salute di una democrazia?

L.Q.: La libertà di religione è un principio che ha radici antichissime, poiché essenziale per la stabilità e per la pace sociale. In Europa trova un primo importantissimo riconoscimento formale nell’editto di Milano promulgato dall’imperatore Costantino nel 313 d.C. Oggi è consacrato giuridicamente a tutti i livelli di governance e in molti pronunciamenti ufficiali: dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, fino al nostro ordinamento costituzionale. È uno dei principi e dei valori in cui dobbiamo tutti riconoscerci e che si declina in una pluralità di libertà e di diritti che devono essere garantiti. Certamente, essi assumono particolare rilevanza in questo determinato periodo storico in cui i culti e le loro diverse interpretazioni sono, purtroppo, nuovamente forieri di conflitti inter- e intra-religiosi.

Bisogna assicurare la tenuta del sistema di protezione della libertà religiosa, sempre più minacciata da chi della religione medesima fa una strumentalizzazione barbara e violenta e da chi cerca di rimediare, attraverso quella strumentalizzazione, a un’identità nazionale in crisi.

 

LIA QUARTAPELLE – Politica italiana, Segretario della III Commissione (Affari esteri e comunitari) della Camera, membro del Comitato permanente sui diritti umani.

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