Le linee Guida FoRB e il dibattito internazionale

Il problema della libertà di religione e credo è continuamente al centro dell’attenzione di organismi sovranazionali. Nel 2013 l’Unione Europea ha approvato le Linee Guida FoRB (Freedom of Religion or Belief) (1) che ribadiscono il principio secondo cui la libertà di religione o credo è un diritto umano universale, protetto dall’Articolo 18 dell’International Convention on Civil and Political Rights (ICCPR). Con quest’atto l’Europa si è impegnata a diffondere e a far accettare questi principi e ha stabilito degli standard per le relazioni   estere.

Nelle Linee Guida è anzitutto ribadito il diritto alla libertà di manifestare, in pubblico e in privato, individualmente o collettivamente, la propria religione e la propria credenza, oppure di vivere senza alcuna discriminazione la propria scelta di non-credenza o agnosticismo. Ogni genere di violazione e abuso deve essere prevenuta e viene respinta ogni forma di disparità tre le diverse confessioni religiose presenti sul territorio, l’incitamento all’odio e la discriminazione, legata al genere, o all’uso di simboli religiosi. Nelle Linee Guida si richiede, inoltre, di mettere in atto le azioni necessarie a prevenire da una parte qualsiasi forma di violenza, e, dall’altra, a garantire il diritto di critica e satira. Occorre assicurare il diritto alla pratica dei riti, la parità per i luoghi di culto, la libertà di associazione, il sostegno e la protezione agli attivisti per i diritti umani che si battono per raggiungere questi obiettivi. Si richiede, infine, un’opera costante di monitoraggio della situazione. Le Linee Guida cercano, inoltre, non solo di prevenire le violazioni ma anche di fronteggiarle, qualora si verifichino, e consentono che l’Unione europea metta in atto azioni di contrasto e prenda provvedimenti nei confronti di quelle nazioni che violano FoRB. A questo proposito, l’Italia, pur avendo aderito a FoRB, ha ricevuto, in sede OSCE, alcune raccomandazioni da parte di diverse ONG per violazioni della libertà di religione e credo, e, dall’altra parte, si è fatta portavoce di problemi fondamentali, come il dramma della persecuzione dei cristiani nel mondo.

Alcuni casi di violazioni trasversali di FoRB

Non è possibile fare una disamina completa di tutte le violazioni della libertà di religione e credo che si verificano in molti Paesi europei, anche perché, oltre a quelle palesi, esistono altre forme di violazioni più difficili da valutare, come, per esempio, l’ostilità sociale e l’intolleranza generale verso minoranze spirituali e religiose o altre forme di credenza.

Il 27 settembre 2016, come ogni anno, si è tenuta l’annuale conferenza sui diritti umani all’OSCE (OSCE-HDIM 2016), nel corso della quale i rappresentanti di numerose ONG hanno presentato le loro raccomandazioni di fronte alle autorità di tutti i Paesi, segnalando le violazioni dei diritti e delle libertà, molto spesso perpetrate dalle stesse autorità statali. Il panorama di violazioni sciorinate davanti al microfono dalle numerose delegazioni è davvero disarmante. Raccoglierle tutte significherebbe scrivere un volume corposo e, a suo modo, «deprimente», perché ciò che si ascolta ogni anno, nel corso della sessione plenaria, ricorda molto quanto avvenuto in quella stessa sede nell’anno precedente. Talora si nota un miglioramento della situazione in un dato Paese ma, per ogni caso «positivo», ne viene segnalato uno nuovo, in un altro Paese, ancora più grave.

Considerando, dunque, la vastità della problematica, in questo contributo si è scelto di prendere in considerazione solo quattro tra i numerosissimi casi che sono stati segnalati da quattro ONG: HRWF (Human Rights Without Frontiers), con sede a Bruxelles, CAP (European Coordination for Freedom of Conscience), registrata in Francia, Soteria International, fondata in Danimarca, e FOREF (Forum for Religious Freedom Europe), registrata in Austria.

La Russia

Recentemente la Corte Suprema in Russia ha chiuso una congregazione dei testimoni di Geova. Si tratta di un precedente importante, perché rappresenta un altro passo verso la chiusura delle sedi di questo movimento in tutto il Paese. In effetti, la preoccupazione sullo stato della libertà religiosa in Russia cresce ogni giorno tra tutti coloro che sono interessati al rispetto della Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e di tutte le leggi europee in materia, comprese le Linee Guida FoRB.

Il caso della Russia è stato segnalato da HRWF. In quel Paese, l’approvazione e l’entrata in vigore della controversa legge Yarovaya, ha colpito indiscriminatamente tutte le chiese diverse da quella Ortodossa russa. La legge, infatti, limita il lavoro dei missionari, il proselitismo, l’insegnamento e qualsiasi attività finalizzata a invitare le persone ad aderire a un gruppo religioso. Stabilisce, inoltre, che le chiese cristiane possono svolgere le loro attività solo all’interno dei locali destinati alle attività religiose e se ne hanno l’autorizzazione. Anche le attività nelle case private e su Internet rientrano nelle limitazioni previste dalla legge, che, in sostanza, si schiera contro chiunque predichi agli ortodossi e cerchi di convertirli, come generalmente in Russia fanno i protestanti, i testimoni di Geova, Scientology e altri movimenti. I sacerdoti cattolici evitano di rivolgersi a non cattolici, in modo da non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge, come risulta anche da una recente intervista rilasciata da un sacerdote che da anni vive in Russia. Egli ha dichiarato che i cattolici «sono molto attenti a predicare solo a quelli che sono già cattolici». Tuttavia, se un movimento cattolico volesse intraprendere una qualche forma di evangelizzazione, anche solo nei confronti di quella metà di russi che non frequenta chiese ortodosse, si esporrebbe a sanzioni, come tutti gli altri gruppi.

Oltre a questo, le autorità russe stanno abusando della legge anti-estremismo che viene applicata contro comunità religiose minoritarie, perché, per essere accusati di «estremismo» non è necessario usare violenza o minacce: «estremismo» può essere anche solo cercare di convincere qualcuno della superiorità della propria religione rispetto a un’altra, anche se l’opera di propaganda si svolge in modo pacifico e rispettoso delle persone contattate.

Questo particolare comma della legge ha provocato il bando delle pubblicazioni dei testimoni di Geova e di pacifici gruppi di Musulmani, alcuni dei quali sono stati imprigionati. Le pene previste dalla legge, e già inflitte, sono pesanti, con multe che superano i 780 dollari, se il reato è commesso da un individuo, e i 15.500 se attribuito a un gruppo. Gli stranieri che violano la legge possono essere espulsi. Ci sono diversi casi segnalati, tra i quali quello del leader africano di una chiesa pentecostale, cittadino del Ghana, multato con 50.000 rubli per il reato di evangelizzazione illegale, poiché aveva svolto attività di culto e predicazione senza le necessarie autorizzazioni; oppure quello di due turisti, cittadini americani, con la figlia minorenne, arrestati a Kaluga e multati con 3.000 rubli per violazione amministrativa della legge. Si tratta di due protestanti, amici della Chiesa Cristiana Evangelica di Kaluga, che stavano partecipando al culto della comunità.

HRWF ha chiesto alla Russia di sospendere la legge, di prendere in considerazione la petizione che ha raggiungo 100.000 firme contro la legge stessa e di sottoporla al giudizio della Commissione di   Venezia.

L’Ungheria

FOREF Europe (The Forum for Religious Freedom Europe) è intervenuto sulla grave situazione venutasi a creare in Ungheria. La nuova Legge Fondamentale dell’Ungheria è stata approvata dall’Assemblea Nazionale il 19 aprile 2011 ed è entrata in vigore il primo gennaio 2012. Nel 2013 sono stati approvati due emendamenti.

In particolare, il quarto emendamento modifica anche l’art. VII della Legge Fondamentale sulla libertà di culto e sui rapporti fra Stato e chiese. Questa legge viola gli standard della CEDU e la dichiarazione di Helsinki e ha causato il ritiro dello status legale a circa 200 comunità religiose. Nella legge, lo status di chiesa riconosciuta dallo Stato conferisce a quest’ultima la capacità di cooperare con le autorità pubbliche a fini di interesse comune e il diritto di ricevere finanziamenti. I criteri per tale riconoscimento comprendono, tra gli altri, il periodo di attività e l’idoneità alla collaborazione per fini di utilità sociale.

La Corte Costituzionale del Paese, con sentenza 6/2013, pur riconoscendo al Parlamento la facoltà di stabilire criteri per il riconoscimento di organizzazioni religiose, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale procedura, laddove non prevedeva sufficienti garanzie tali da scongiurare il rischio di decisioni arbitrarie da parte dell’organo legislativo. È da notare come la vaghezza del criterio di «idoneità alla collaborazione» lasci ampia discrezione tanto al Parlamento, quanto alla Corte. Inoltre, il Parlamento ha avocato a sé la possibilità di scegliere le comunità religiose per la loro «cooperazione» con lo Stato al fine di fornire «attività di pubblico interesse».

La CEDU ha emesso una sentenza di condanna nel caso di alcune chiese che, in seguito all’approvazione della legge, avevano perso il loro status legale (2). Nella motivazione della sentenza si legge: «Nel rimuovere completamente lo status di chiese alle ricorrenti piuttosto che applicare misure meno stringenti, nello stabilire una procedura di reiscrizione politicamente corrotta, la cui giustificazione suscita dubbi e, infine, nel trattare le ricorrenti diversamente dalle chiese registrate non solo rispetto alla possibilità di cooperazione, ma anche nel conferimento di benefici per attività legate alla fede, le autorità ungheresi violano il loro dovere di neutralità». Oltre a ripristinare lo status delle chiese ricorrenti e a compensarle, l’Ungheria deve anche abrogare gli emendamenti approvati alla Legge Fondamentale. Nonostante questa condanna, il governo non ha modificato la legge né ottemperato alle richieste della CEDU.

L’effetto prodotto dalla legge ungherese su molte chiese è la perdita del loro status legale e delle esenzioni fiscali previste per le organizzazioni registrate: sono tutte costrette ad agire in clandestinità, e quelle meno numerose rischiano l’estinzione.

La Francia

CAP (Coordination of Associations and Individuals for Freedom of Conscience), organizzazione operante in Francia dal 2000, ha messo in rilievo, nella sua raccomandazione, un’anomalia tutta francese, che persiste da decenni: il fatto che il governo francese finanzi una ONG la cui finalità è quella di identificare le «sette» per porre fine ai presunti abusi perpetrati al loro interno.

La contraddizione che il CAP fa emergere è la seguente: Valls, primo ministro del governo francese, che non molto tempo fa aveva dichiarato: «in Francia non c’è alcuna definizione legale di «setta», continua a finanziare, al 100 per cento, tramite il suo dipartimento, un’associazione come la FECRIS (European Federation of Research and Information Centers on Sectarianism), il cui scopo è esattamente quello di identificare le «sette». La Francia ha, inoltre, dal 2009, un’apposita unità di polizia, CAIMADES (Cellule d’assistance et d’intervention en matière de dérives sectaires) che è finalizzata a intervenire in caso di «abusi settari». Dopo aver citato alcuni casi gravi di violazione dei diritti umani anche di persone non appartenenti a gruppi religiosi, il CAP ha chiesto alla Francia di ritirare i finanziamenti alla FECRIS, in modo che questa associazione possa riacquisire il suo status di organizzazione «non governativa».

Anche HRWF, nel 2014, alla luce di una ricerca condotta dalla sociologa canadese Susan Palmer (3), che metteva in evidenza come in Francia diverse minoranze religiose vengano ostracizzate e soggette a controllo sociale, aveva segnalato questa violazione e richiesto a quel Paese di rivedere la sua politica che stigmatizza e ostracizza le cosiddette «sette» e i loro membri e di rispettare la giurisprudenza e i principi fondamentali di neutralità e imparzialità che regolano le relazioni tra lo Stato e tutte le comunità religiose o di credo, come previsto dalla giurisprudenza della Corte Europea. Mentre, infatti, è legittimo per uno Stato proteggere i suoi cittadini e metterli in guardia da diversi tipi di pericoli, stigmatizzare alcuni sistemi di credenze sulla base di informazioni inattendibili e faziose contribuisce in modo grave a varie forme di discriminazione e di ostilità sociale, come per esempio: insulti, aggressioni fisiche, attacchi a luoghi di preghiera e edifici delle comunità, ecc.

Yoga e spiritualità alternative

Soteria International segnala una violazione davvero trasversale che non riguarda un singolo Paese ma una particolare categoria di persone presente ovunque, in Europa e nel mondo. Si tratta della discriminazione e persecuzione dei praticanti di tutte le discipline riconducibili allo yoga, all’esoterismo, in senso ampio e generale, nei confronti dei quali Soteria International ha lanciato all’OSCE un appello, affinché si metta fine a questa particolarmente odiosa forma di etichettatura, perpetrata da esponenti di religioni maggioritarie, movimenti anti-sette e dalle forze di polizia di diversi Stati europei.

La ONG sottolinea come, nella società globalizzata, si moltiplichino i casi di restrizioni alla libertà di scegliere un determinato cammino spirituale. Poiché molte di queste credenze e pratiche rituali sono diverse da quelle cristiane, dominanti in Occidente, esse sono considerate comportamenti «criminali» solo perché «diverse» e osservate al difuori del loro contesto storico. Per esempio, la pratica di Karma Yoga in comunità spirituali come Ananda Assisi in Italia, Deutsche Akademie für Traditionelles Yoga in Germania, e la pratica del tantrismo nelle scuole yoga di MISA, in Romania e in Italia, hanno provocato indagini e processi penali che hanno descritto i praticanti come criminali oppure vittime di un crimine.

Alla luce degli effetti della globalizzazione sulla libertà di pensiero coscienza e credo, Soteria ha raccomandato all’OSCE di indagare sulla situazione e di prendere le misure necessarie per evitare l’interpretazione erronea di credenze e pratiche spirituali che può provocare indagini e processi penali infondati.

Libertà e parità

Non è possibile riassumere interamente l’ampio dibattito sulla libertà di religione e credo. In questo contributo si segnala solo una questione di grande rilevanza, quella relativa alla distinzione fra due concetti, che sintetizzano quantomeno la percezione che i gruppi di credenti, non credenti e atei hanno ripetutamente espresso all’interno delle loro riflessioni, rispecchiando così quel variegato insieme di risoluzioni, raccomandazioni, interrogazioni e sentenze che tinteggiano il disegno essenziale della Carta Europea dei diritti dell’uomo. Questi due concetti sono «libertà» e «parità».

Per quanto concerne il primo, non vi è pericolo d’errore: la libertà di religione e credo è sancita ed è universalmente oggetto di difesa da parte degli organismi sovranazionali, a partire dai pronunciamenti della CEDU, fino alla Carta europea, passando per gli ampi dibattiti in sede OSCE/ODIHR.

Quando, però, si sposta la riflessione sul concetto di «parità», la questione si complica, e con buona ragione, per motivi storici, culturali, filosofici, ecc. La stessa definizione di «patrimonio religioso» europeo è stata respinta non solo da gruppi non cristiani, ma anche da associazioni di atei; ed è innegabile che, se si tratta del cristianesimo, la parità con le altre religioni e con i non credenti non è totalmente assicurata. A questo punto il dibattito si fa complesso, le risoluzioni contraddittorie, le sentenze diverse le une dalle altre, quasi che l’Europa fosse alla ricerca di un confine preciso tra l’uguaglianza voluta dai diritti dell’uomo e la storia che impregna il continente della sua millenaria essenza cristiana.

Linee Guida FoRB

L’adesione dell’Italia alle Linee Guida di FoRB non ha dato origine a mutamenti  o interventi concreti. È sufficiente segnalare il fatto che, nel nostro Paese, la normativa che regola i rapporti tra le confessioni religiose e lo Stato risale all’epoca fascista e che il regime delle intese, pur essendo a suo modo utile, per le minoranze che riescono a ottenerla, non risolve tutti i problemi e, comunque, indica che in Italia ci sono religioni di «serie A, B, C», e perfino i gruppi appartenenti alla casta degli «intoccabili», quelli grossolanamente etichettati come «sette» per i quali non solo non è prevista alcuna intesa con lo Stato, ma, piuttosto, vige lo stigma infamante riservato ai «diversi», il cui destino è l’isolamento sociale, se non l’aperta ostilità.

In conclusione, quella che l’UE ha lanciato approvando le Linee Guida FoRB, è una vera e propria sfida anche per il nostro Paese, in un momento di tensione internazionale ma anche di nuovi e intensi momenti di dialogo interreligioso e scambio interculturale. Qualora il governo italiano decidesse d’inserire, tra le sue priorità, la tutela della libertà di religione e credo, ci sarebbe la possibilità di ot- tenere il sostegno dell’UE per il raggiungimento di obiettivi che l’Italia si propone, ormai, da decenni.

 

RAFFAELLA DI MARZIO – Membro del direttivo Sipr (Società Italiana di Psicologia della Religione). Fondatrice e curatrice del Centro online di Informazione e Ricerca «Spiritualità, Religioni e Settarismi» (dimarzio.info)

 

NOTE

1 Il documento si trova a questo indirizzo: http://www.dimarzio.info/en/archiv/finish/17-religious-freedom/225-forb-protection-and-promotion.html

2 Magyar Keresztény Mennonita Egyház e altri. vs Ungheria dell’8 aprile 2014.

3 Stuart A. Wright e Susan J. Palmer, Storming Zion, Government Raids on Religious Communities, Oxford Univerity Press, New York, 2016.

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