I sistemi funzionano male per lo scarto tra policies e politics.

I sistemi costituzionali europei non funzionano tanto bene per varie ragioni. Concentrandoci solo sulle cause istituzionali, dobbiamo segnalare in primo luogo lo scarto esistente tra il livello a cui si possono prendere effettivamente decisioni efficaci (quello sovranazionale) e quello su cui si concentra il dibattito politico (quello nazionale). Se le policies più forti si possono prendere a livello europeo, ma lì manca un government, il gioco nazionale di politics gira a vuoto.

È astrattamente conosciuto anche il rimedio: quello di distinguere bene tra chi desidera solo un mercato comune e chi vuole invece perseguire anche un’unione federale, una prospettiva «unionista» (Fabbrini) o secondo lo schema parlamen- tare europeo (che ha già portato alla legittimazione diretta del Presidente della Commissione), oppure secondo uno schema presidenziale americano. Perché allora i secondi, gli unionisti, non procedono?

Ciò richiede in sostanza un allineamento su questa direttrice dei tre pianeti, dei tre Paesi più grandi: due di essi, la Francia a primavera e la Germania in autunno, sono sostanzialmente bloccati perché le dirigenze politiche, pur essendo intimamente convinte di questa prospettiva, temono di eccitare gli elettorati in direzione opposta e adottano quindi un approccio minimalista. È possibile che questa impostazione sia sbagliata, tuttavia con essa occorre fare i conti. È tuttavia vero che, usciti dalle due tornate elettorali, più facilmente la Francia (il Presidente disporrà di un’ampia maggioranza parlamentare, votando a poche settimane di distanza, in luna di miele con gli elettori) con qualche difficoltà in più la Germania (la Grande Coalizione ripetuta sta riducendo ad ogni legislatura la somma di voti e seggi dei due partiti di governo, specie della Spd) dovrebbero essere pronte a questo allineamento.

A quel punto, però, troveremo ancora l’Italia? È evidente che a questa domanda non è facile rispondere perché molto dipende dall’esito del prossimo referendum costituzionale.

I populisti e le loro fortune: la crescita all’ombra delle Grandi Coalizioni

Da quanto si è detto sin qui, appare evidente che il successo di forze populiste non derivi tanto dai meriti di queste ultime, da convincimenti positivi che esse ispirano, ma, per quanto riguarda le cause dovute alle regole, dalle difficoltà delle istituzioni e delle forze tradizionali che operano dentro di esse.

Non è peraltro facile dare una definizione di chi siano i populisti (anche perché quasi mai essi si autodefiniscono come tali) e, comunque, una volta data la definizione, vi è anche il problema di non appiattire rigidamente tutti su questa sola definizione minima.

Tuttavia, se vogliono identificare come populisti tutti coloro che propongono un mito dell’innocenza, della totale estraneità al sistema tradizionale, identificandosi immediatamente con il popolo, abbiamo già una prima identificazione grossolana.

Ovviamente, poi, molto dipende dai contesti nazionali in cui queste forze concretamente si radicano. Alcune non possono comunque sottrarsi anche a una collocazione sull’asse destra-sinistra (basti pensare a Trump, Le Pen o, in senso opposto, a Podemos), altre invece possono prescinderne, avendo così la possibilità di un’espansione in tutte le direzioni (il Movimento 5 Stelle).

Queste forze possono crescere nella misura in cui sono esentate dalla prova del Governo perché essa farebbe venir meno la loro innocenza, la loro estraneità al sistema, altrimenti non potrebbero che normalizzarsi, come accaduto a Syriza che, di fatto, è diventata alla fine un equivalente funzionale dei tradizionali partiti socialisti. Non è mancata in Italia la sperimentazione dell’inserimento di una forza populista come alleato minore di governo (la Lega) con esiti contraddittori.

Da questo punto di vista, come ha ben chiarito Carlo Fusaro in un suo recente contributo per il Forum di Quaderni Costituzionali «Le trasformazioni del modello Westminster e le difficoltà crescenti del governo parlamentare in Europa», rischia di crearsi una sorta di cortocircuito:

  1. Il successo delle forze populiste porta a una maggiore frammentazione dei sistemi; essa, se non vi sono sistemi elettorali e istituzionali selettivi come quello francese o il ballottaggio dell’Italicum con un fiducia monocamerale, spinge a creare grandi coalizioni tra le forze tradizionali che erano di solito alternative e offrivano due possibili opzioni democratiche e di Governo, entrambe affidabili, e a regalare alle forze populiste il monopolio dell’opposizione;
  2. Le grandi coalizioni logorano i partecipanti, soprattutto il secondo partito che non ha la guida del Governo e così pure anche i Governi di minoranza logorano il partito che dà una qualche forma di appoggio esterno. Chi è pro Governo vota a favore di chi guida l’esecutivo (Merkel, Samaras, Rajoy, ecc,); chi è critico vota per forze di opposizione e i secondi partiti sfioriscono se non addirittura scompaiono (il Pasok, la Spd, ora il Psoe);
  3. Si è costretti a ripetere la grande coalizione (o il Governo di minoranza) con meno voti e meno seggi (Germania) oppure un partito populista vince e si normalizza (Grecia), sempre che una coalizione possa davvero formarsi. Altrimenti si può essere costretti a elezioni a ripetizione.

Due brevi suggerimenti: prospettiva unionista e sistemi selettivi-decidenti

Se, quindi, riteniamo che la crescita delle forze populiste non sia né un dato irrazionale né una soluzione della crisi, ma piuttosto una manifestazione della crisi, sul piano strettamente istituzionale i rimedi sembrano essere due:

il primo, una prospettiva unionista a livello europeo tra i Paesi disponibili;

il secondo, sistemi elettorali selettivi e sistemi costituzionali decidenti che, scoraggiando le grandi coalizioni, evitino la crescita di forze che non debbano mai fare i conti con responsabilità di governo contro coalizioni frammentate e fatalmente deboli.

 

STEFANO CECCANTI – Costituzionalista, Professore ordinario di Diritto Pubblico Comparato presso l’Università La Sapienza di Roma.

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